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Ancora un cataclisma in assenza di una politica del territorio nel paese più bello del mondo

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Mia nonna, che in quelle zone aveva vissuto a lungo, da bambina mi diceva “noi veniamo da terre ballerine”. E mi spiegava che non era una tradizione di danza, ma una storia di terremoti e frane. Conosco quasi palmo a palmo l’area colpita dal disastro di oggi e il dolore per questa tragedia è acuto e anche arrabbiato

La storia dei terremoti del crocevia fra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo è lunga millenni. E’ superfluo ricordare che sono le terre al primo posto del rischio sismico italiano. Non è superfluo ricordare che sono paesi antichi o antichissimi, densi di cultura, di tradizioni, di cose buone, di voglia di lavorare, di cucina che tutto il mondo ci invidia, di gente solidale e operosa. Paesi e genti da salvaguardare, da sostenere, da far conoscere, da valorizzare. Paesi dove i colleghi che in queste ore stanno faticosamente facendo il loro lavoro di inviati non troveranno una sola persona che si occupi solo della sua casa e della sua famiglia ma gente che pensa alla propria casa, ala propria famiglia e a quelle del vicino e degli amici.

Un territorio che, come tutto il nostro paese unico al mondo, qualunque altro stato, se lo avesse, avrebbe da tempo gestito e valorizzato.

Non è andata mai così. Si dice sempre che si pensa a costruire in modo antisismico solo dopo un terremoto tragico, e forse per questo gli dei ci mandano questi disastri a ricordarcelo. Ma il problema è più complesso. E’ il problema della mancanza purtroppo ultradecennale di una politica del territorio e di una politica culturale. I nostri paesi, anche i piccoli borghi di 150 anime come Pescara sul Tronto, non sono semplicemente paesi, sono luoghi di arte, di storia, di cultura: ovunque esistono castelli, mura medievali, abbazie, pale d’altare, pievi, fontane, sculture, piccoli e preziosi musei: ero bambina – e purtroppo è passato tanto tempo – quando si diceva che la cultura era il nostro petrolio!

Eppure questo petrolio la politica italiana l’ha buttato via. Se dopo decenni recuperiamo in parte (e molto per merito di interventi privati) i monumenti principali, come il Colosseo e Pompei, niente è stato fatto per mettere in sicurezza e per valorizzare l’insieme del nostro territorio e dei nostri paesi. Non esiste un sistema di recupero dei centri e delle dimore storiche con criteri ingegneristici moderni, quindi con sistemi antisismici applicati alle costruzioni antiche, dal momento che per difenderci dalle catastrofi naturali bisogna fare questo, oppure chiudere tutti i piccoli paesi antichi e mettere al loro posto orrende casette a schiera, ammesso che poi non crollino dopo un anno come è avvenuto proprio a L’Aquila poco tempo fa, e lo sappiamo bene.

Noi siamo una realtà unica e speciale. La prevenzione dei cataclismi si fa con la politica del territorio. L’antico non andava chiuso o abbandonato a se stesso ma utilizzato per farne il paese più bello del mondo. Spesso riusciamo ad esserlo nonostante questo: pensiamo a chi, in solitudine ma con determinazione e creatività, ha restaurato e messo al sicuro casali e poderi per farne deliziosi agriturismo dove gli stranieri restano estasiati. Ma non sono le singole imprenditorialità a poter salvare un paese, è la politica, la classe dirigente. Ripeto, è un ragionamento che parte da lontano. Ma è questa cecità che ci porta, nove anni dopo, a versare le stesse lacrime versate a L’Aquila, dove oggi guardiamo ancora sgomenti un panorama di ruspe fuori dal centro storico e paesi medievali chiusi, sbarrati, veri paesi fantasma fra rosoni romanici e madonne di legno abbandonate e i resti macabri di una vita che non c’è più. Non deve accadere di nuovo ad Amatrice, ad Arquata del Tronto, ad Accumoli, lungo la Via Salaria, sulle sponde del meraviglioso lago Scandarello, che un tempo da quelle parti chiamavano “la piccola Svizzera”. In decine di leggi finanziarie, o di stabilità o come vi pare, mai è stato messo al centro il territorio dell’Italia, il patrimonio talmente unico che neppure i terremoti, il clientelismo, il malaffare e la cecità della politica sono riusciti a distruggere, almeno non completamente. Gli italiani, ancora una volta, stanno andando a donare il sangue e a dare in tutti i modi il loro contributo, fanno il loro dovere di cittadini, rispondendo all’appello del presidente Mattarella al senso di responsabilità. E’ tempo che cominci a farlo anche la politica.


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