I signori del doping alla prova di una vera inchiesta

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Il docufilm pubblicato oggi sul sito di Repubblica aiuta a capire meglio non solo la vicenda del marciatore Alex Schwazer, ma anche il funzionamento, o non funzionamento, della macchina dell’antidoping nazionale e mondiale. Che alla fine sembra ora rivedere anche i propri stessi risultati, ridimensionati dal risultato pubblicato sempre oggi del test a sorpresa sull’atleta effettuato lo scorso 22 giugno, che dimostra ancora una volta l’assoluta assenza di sostanze nel suo fisico. Il ventesimo esame in poco più di un anno, con uno solo, curiosamente, risultato positivo.
La cronaca è nota ai più, ci limitiamo a ricordare che Alex Schwazer era stato già sospeso per tre anni e nove mesi complessivi dopo essere stato trovato positivo a un test alla vigilia dei giochi di Londra. Colpa ammessa pubblicamente e scontata in silenzio e in solitudine. Ma non del tutto abbandonato, perché presto accanto a lui si è schierato una figura indiscussa dello sport pulito: l’allenatore Sandro Donati che proprio per la sua inflessibile battaglia contro le pratiche di doping diffuse molto oltre l’immaginabile ha sacrificato la sua carriera, messo praticamente al bando da incarichi prestigiosi che pure proprio per le grandi capacità tecniche avrebbe meritato.
E proprio grazie al sostegno tecnico e umano di Donati, Alex ha ripreso ad allenarsi fuori dai circuiti ufficiali che gli erano vietati, ha ricostruito il suo fisico ma soprattutto la sua anima e la sua autostima, sempre sotto stretto controllo del suo mister, che lo ha costretto a marce forzate e analisi continue. Fino all’8 maggio, quando, finita la squalifica, corre sui 50 km alla Coppa del mondo di Roma e vince indiscutibilmente. E poi, all’improvviso, a un mese e mezzo da quella bella medaglia d’oro, la rivelazione di quel famoso prelievo la mattina di capodanno, con due risultati contrastanti usciti a distanza di mesi, con percorsi sospetti, ma in tempo per fermare la sua partecipazione a Rio. Fino a far arrivare avvertimenti che sanno anche di criminalità organizzata a Donati, tanto da muovere la commissione parlamentare antimafia a convocarlo per raccogliere la sua denuncia.
Firmata da Attilio Bolzoni e Massimo Cappello (già autori insieme del docufilm Silencio sulla mattanza di giornalisti in Messico), “Operazione Schwazer. Le trame dei signori del doping” è un’inchiesta giornalistica che rivela una serie di falle, incongruenze, intrecci d’interessi macroscopici nel sistema dell’antidoping nazionale e mondiale, ma anche nella gestione occulta di risultati di gara forse non sempre così limpidi e meritati.
Non vogliamo dare giudizi su settori e vicende che non conosciamo e su cui la magistratura italiana ha da tempo aperto diversi fascicoli d’indagine. Notiamo semplicemente che non sono serviti mesi e mesi di polemiche, inchieste interne alle autorità sportive internazionali, scandali pubblici e privati, denunce e scontri persino tra governi, a mettere in fila i pezzi di una realtà malata (se anche criminale lo dimostreranno gli inquirenti) come è riuscito a fare in appena 20 minuti di video un bel prodotto giornalistico realizzato praticamente a costo zero, con il lavoro da inviato di Bolzoni, i rimborsi spese per trasferte e poco altro coperti dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, e l’impegno a titolo praticamente volontario dello stesso Massimo Cappello e del regista Alberto Mascia e di quanti in questi mesi sono stati al fianco di Schwazer e di Donati e da anni denunciano con loro la marea incontrastata del doping, che sta avvelenando un mondo che per sua natura dovrebbe esaltare lo stato fisico più sano. Sembra un ossimoro, ma lo sport, vissuto sotto i riflettori in ogni momento della giornata e delle carriere di chi lo pratica soprattutto da professionista, lussuosamente finanziato da sponsor che tutto sanno e nulla dicono, raccontato fin nelle alcove da giornali, tv, siti web che pagano miliardi di diritti per pochi secondi o anche solo per un solo scatto, si rivela oggi forse la periferia più oscura e volutamente dimenticata, dai media, dalle istituzioni internazionali, e anche dalla politica che tanto severa invece appare verso chi si fuma in santa pace una cannetta senza far male a nessun altro se non a se stesso (meno comunque dei milioni di fumatori di sigarette che inquinano anche noi).
Ora, dopo aver sentito le intercettazioni e visto documentazioni e testimonianze messe in fila da Bolzoni e Cappello, resta da chiedersi: i giudici sportivi che faranno? La Iaaf avrà qualcosa da dire? E tutti quei colleghi di Schwazer pronti a crocifiggerlo? Senza voler giudicare nessuno, ma qualche dubbio su intrecci di conflitti d’interesse e dossier già noti da almeno tre anni (sempre ascoltando gli intercettati) e insabbiati fino ad oggi dovrebbe averlo chiunque.
L’udienza finale del Tas (il Tribunale arbitrale sportivo) sul caso Schwazer, decisiva per la sua partecipazione alle competizioni delle Olimpiadi di Rio, è ora spostata all’8 agosto nella città brasiliana, ad appena quattro giorni dalla 20 km di marcia, prima gara a cui il marciatore potrebbe partecipare se fosse riconosciuta la sua innocenza.
Per chi non lo sa, il ricorso di Schwazer ha un costo: 40mila euro tra spese legali, controanalisi e viaggi. Naturalmente senza sponsor. Cercare la verità è cosa per ricchi, ma né Alex e né il suo allenatore Sandro Donati lo sono. Ma chi vuole verità può aiutarli, in tanti hanno già donato, anche grazie all’appello rilanciato su facebook da Libera Roma e da tanti, ma mancano almeno altri 20mila euro. Per chi volesse sostenere questo percorso importante, può fare la propria parte inviando anche poco a: “donazione giustizia e verità per Donati e Schwazer” – IBAN: IT83A0501803200000000121900


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