Passano gli anni, cambiano le stagioni meteorologiche e politiche, ma lo scontro per la conquista della Rai si ripete puntualmente. Anzi, si ripete nel modo più classico: “guerra” e “guerriglia” in Parlamento, sui giornali, in televisione e sul web nelle caldissime ed afose giornate dei primi giorni di agosto.
C’è, però, una novità clamorosa: la sinistra, il Pd si spacca sul Tg3, il telegiornale da sempre espressione giornalistica della sinistra italiana. Più esattamente: si va verso la sostituzione di Bianca Berlinguer alla direzione del Tg3 e Matteo Renzi entra in rotta di collisione con le sinistre democratiche, con imprevedibili conseguenze. L’accusa è di aver mollato la Berlinguer, una icona della sinistra italiana.
La pallina girava da tempo sulla roulette delle nomine Rai. Più esattamente girava da un anno: da quando, nell’agosto del 2015, cambiò il consiglio di amministrazione e Antonio Campo Dall’Orto, uomo tv vicino a Matteo Renzi, divenne direttore generale. Più o meno ogni mese si parlava di molteplici nomi “in rampa di lancio” per il cambio della guardia nelle direzioni dei tg. Nei mesi scorsi qualche novità c’è stata: Antonio Di Bella è divenuto direttore di Rainews24 al posto di Monica Maggioni, eletta presidente della Rai; nuovi direttori sono arrivati anche nelle reti televisive. Ma per i telegiornali e il giornale radio, il cuore del servizio pubblico, l’attesa finora era stata vana.
Ora ci siamo. I nuovi timonieri dei tg, salvo imprevisti dell’ultima ora, domani tagliano il traguardo con il voto del consiglio di amministrazione con all’ordine del giorno proprio il passaggio di consegne (Campo Dall’Orto ha formalizzato le proposte per i nuovi direttori). Ida Colucci scala la direzione del Tg2 (dalla vice direzione della testata), Luca Mazzà fa altrettanto al Tg3 (anch’gli dalla vice direzione), Nicoletta Manzione va alla guida di Rai Parlamento (è corrispondente del servizio pubblico da Berlino). Infine Andrea Montanari (vice direttore del Tg1) plana alla direzione del Gr. Ida Colucci va al posto di Marcello Masi, Mazzà sostituisce Bianca Berlinguer, Nicoletta Manzione subentra a Gianni Scipione Rossi, Montanari a Flavio Mucciante. Nessun cambiamento, invece, al Tg1: Mario Orfeo resta alla guida del più importante telegiornale Rai ed italiano dopo aver diretto il Tg2 e ‘Il Mattino’.
Sul ricambio è subito tempesta, politica e giornalistica. L’informazione Rai è materia incandescente. Le opposizioni e parte della stessa maggioranza di governo, Nuovo centro destra e minoranze del Pd, con toni diversi attaccano queste scelte. Le opposizioni accusano Renzi di volere direttori accomodanti e le sinistre del Pd parlano di normalizzazione, in vista del referendum del prossimo autunno sulla riforma costituzionale del governo, una consultazione molto importante per le sorti del presidente del Consiglio e segretario dei democratici.
Molteplici nomi sono impazzati anche nei giorni scorsi. Per il Tg3, ad esempio, si sono ipotizzati diversi direttori: Antonio Di Bella, Maurizio Mannoni, Giovanna Botteri. L’esecutivo dell’Usigrai, in attesa di notizie certe, ha criticato «il tipico totonomine in perfetto stile Prima Repubblica». Il sindacato dei giornalisti Rai ha lamentato che tutto viaggi «slegato dal prodotto e da qualunque ipotesi di riforma editoriale».
Al centro della tempesta c’è soprattutto la sostituzione della Berlinguer. Roberto Speranza ha usato parole dure: è realizzata l’«estromissione di Bianca Berlinguer». L’esponente della sinistra Pd ha rincarato: le decisioni «hanno il profumo di un tentativo di normalizzazione dell’informazione». La personalità della direttrice del Tg3 pesa molto per motivi diversi: 1) Bianca Berlinguer porta un nome che è un simbolo per una parte importante della sinistra italiana, è la figlia di Enrico, l’amato segretario del Pci morto trent’anni fa; 2) esponenti della maggioranza renziana del Pd hanno duramente criticato nei mesi scorsi il Tg3 e la Terza rete televisiva, tradizionalmente vicini alla sinistra, per l’atteggiamento considerato ostile a Renzi. I vertici della Rai e il Pd, invece, difendono le nomine perché basate su scelte di rinnovamento e di capacità professionali.
Un dato è certo: queste nomine arrivano nel momento di massima debolezza politica di Renzi. Il “giovane rottamatore” di Firenze due anni fa, quando trionfò nelle elezioni europee del 2014 portando il Pd al 40,8% dei voti, era allo zenit del successo, e avrebbe potuto affrontare con maggior vigore gli attacchi. Adesso, invece, naviga tra grandi difficoltà, soprattutto dopo la sconfitta subita nelle elezioni comunali dello scorso giugno per mano del M5S. Ora rischia un boomerang con le nomine dei direttori dei tg.
È in gioco la credibilità del presidente del Consiglio: l’autonomia delle testate giornalistiche del servizio pubblico radio-televisivo, pur nei diversi orientamenti editoriali, è una pietra miliare dell’informazione credibile e della stessa democrazia. Del resto lo stesso Renzi due anni fa, appena insediatosi a Palazzo Chigi, assicurò in una intervista a La7: alla Rai «mai più nomine politiche» da parte di partiti perché le scelte devono essere realizzate dall’azienda. Garantì: «Io non metterò mai il mio partito nelle condizioni di prendere decisioni sulla Rai». All’inizio dell’anno scorso confermò in una conferenza stampa: «Fuori i partiti dalla gestione della Rai».
Le opposizioni e le minoranze del Pd sono sul piede di guerra. Maria Stella Gelmini, Forza Italia, accusa Renzi di voler usare le nomine Rai come “assicurazione” per il referendum: «Non è un bel regalo al servizio pubblico trasformare la Rai in un comitato elettorale per il ‘sì’ al referendum istituzionale». Loredana De Petris, Sinistra italiana, teme per l’autonomia dell’informazione: «È in atto una normalizzazione dei tg». Alessandro Di Battista, cinquestelle, promette battaglia: «Se loro occupano la Rai noi staremo in piazza».
Pier Luigi Bersani, di solito abituato a toni equilibrati, esprime tutta la preoccupazione delle minoranze del Pd di scivolare verso brutti comportamenti: «Secondo me questa vicenda prefigura un Pd pienamente partecipe dei vecchi vizi. E questo non può essere in nessun modo il volto del Partito democratico». Renzi, presidente del Consiglio e segretario del Pd, rischia una rottura con Bersani, ex segretario del partito, e con Bianca Berlinguer, figlia di Enrico, segretario del Pci, una delle forze politiche dalle quali deriva il Partito democratico. Sarebbe uno scontro tutto all’interno della sinistra.