Di Alessandro Cardulli
L’Unità, quella fondata da Antonio Gramsci, che ha raccontato la storia del nostro Paese dalla parte dei lavoratori, delle forze democratiche, di progresso, dei comunisti che la portavano nelle case di centinaia di migliaia di famiglie, che la domenica attendevano che si suonasse il campanello, i soldi già pronti, grazie compagna/o, un rapido scambio di parole, non c’è più. Spesso nelle strade trovavi anche i dirigenti del Pci, poi, ma sempre più di rado, quelli del Pds, Ds, in particolare nelle campagne elettorali. Nel passaggio verso il Pd sono scomparsi, ora ci sono le primarie, campagne a suon di soldoni. I dirigenti, o quelli che si credono tali, i contatti con i cittadini li tengono attraverso hastag, blog e via dicendo. Non c’è più l’Unità e si scopre che con il Pd renziano non ci sono più neppure le feste. La notizia clamorosa viene da Roma. Non ci sarà la Festa. Perlomeno nei Circoli non ne sanno niente. Il commissario Orfini non ha un gran rapporto con il partito romano, i resti di una forza politica che fu. I più ottimisti sperano che, magari a settembre, qualche chiosco lo si metta in piedi. Ma una Festa non si improvvisa.
Sono stati eventi di grande significato, aperti al confronto politico con le altre forze
Nella capitale le Feste dell’Unità hanno sempre rappresentato un momento molto importante nella vita politica del nostro Paese. Si misurava la forza del Pci anche attraverso i quintali di prodotti che venivano consumati, i pasti che le sezioni “specializzate” riuscivano a produrre, quanti dibattiti nell’arco di una ventina di giorni e anche più, chi degli avversari e degli amici veniva al confronto nei dibattiti, quante persone affollavano le iniziative politiche e culturali “minori”, diciamo di nicchia. La presentazione di un libro, il lancio di una campagna, la proiezione di un documentario, non c’erano stand deserti. Il conto finale, quello delle feste nelle grandi città e poi la chiusura della Festa nazionale con il segretario del Partito segnava il termometro politico quanto o meglio i sondaggi che oggi vanno di moda. Il filo conduttore della Festa era l’Unità, il racconto che i cronisti facevano delle tante feste che avevano luogo in tutto il Paese. Non solo quelle estive, ma si prese gusto anche ad organizzarle in inverno nelle località montane.
Una carica di democrazia, di partecipazione. Solidarietà con i popoli in lotta per la libertà
La pubblicistica sta riscoprendo la carica di democrazia e di partecipazione. La Festa raccontava le lotte dei lavoratori, le battaglia per la democrazia, contro la legge truffa, un fac simile dell’Italicum, le battaglie per la pace, le lotte contro il terrorismo, la riscossa operaia, il sessantotto degli studenti, scorrono nella nostra memoria i nomi di esponenti che lottavano per la libertà in Spagna, in Grecia, in Cile, i concerti degli Inti Illimani. La Festa, insomma un grande palcoscenico politico, un segnale di come si “governa” stando all’opposizione. E c’era sempre L’Unità che raccontava di queste battaglia in Italia, in Europa, nel mondo anche nei momenti difficili quando l’Unione sovietica si andava progressivamente sfasciando e se ne discuteva pubblicamente. Il giornale veniva “stampato” nel corso della Festa. A Napoli era stata impiantata una mini tipografia e, ricordo, Enrico Berlinguer si trasformò in tipografo spiegando come funzionava la macchina con la quale si componevano i caratteri di piombo, la stampa a caldo.
Per organizzare le Feste c’era un partito che ora non c’è più. Il ruolo delle sezioni
Ancora Roma, non si possono dimenticare grandi feste, il comizio di Togliatti nel 1948 due mesi dopo essere rimasto vittima di un attentato, protagonista Pallante, o quello di Berlinguer. Caracalla gremita di persone. Grandi feste, dall’Emilia, Bologna in particolare, a Milano, Genova, Torino, Firenze, fino a quelle di quartiere, nei paesi piccoli e grandi. Ma ciò che hanno rappresentato le Feste è qualcosa di più importante delle giornate, venti e più, in cui la gente veniva ad incontrare i comunisti che queste feste di popolo organizzavano. C’erano donne e uomini, anziani e giovani, che per mesi lavoravano per preparare l’evento, sezioni che si specializzavano nella ristorazione, a partire dagli oggetti del mestiere, friggitrici, girarrosti, fornelli, che facevano parte del patrimonio del partito. Poi tutti coloro che si occupavano della messa a punto dell’ambiente, dei bar, degli stand. Per non parlare dell’organizzazione dei dibattiti, del confronto con le altre forze politiche, della programmazione degli eventi, degli spettacoli, degli ospiti, della presenza del mondo della cultura, dello spettacolo. A sentire che a Torino forse non verrà invitata la sindaca perché è quella che ha sconfitto Fassino, vengono i brividi. Tant’è questo è il renzismo che trasforma queste feste in appuntamenti per far campagna per il “sì” al referendum, trovando molte difficoltà a presentarsi nelle piazze, utilizzando L’Unità come strumento di propaganda e non di partecipazione e di confronto come nella sua storia. Certo, giornale comunista che non nascondeva il suo orientamento ma sapeva “raccontare” la vicenda politica italiana e internazionale portando la “sua “ cultura, la “sua” storia al confronto le forze politiche e sociali.
Il renzismo che trasuda dalle pagine del giornale impedisce feste di popolo
Oggi questa Unità non c’è più. Non ce ne vogliano i giornalisti che hanno pagato un prezzo molto alto, ma “questa” Unità non può promuovere feste di popolo. Lo impedisce il renzismo che si respira in ogni pagina e che, dobbiamo dirlo con dispiacere, giornalisti che hanno un’altra storia, un’altra origine l’hanno dimenticata. Non è un caso che siano ricercati dai talk show per tessere gli elogi del capo ed attaccare chi si permette di dissentire. Sono gli “specializzati” contro persone e cose abbiano odore di sinistra, quelli che hanno cambiato casacca, la “nidiata” venuta male come dice Massimo D’Alema che di costoro è diventato bersaglio fisso. Nostalgia dell’Unità fondata da Antonio Gramsci. Sì, sappiamo che a quel tipo di giornale non si può tornare, ma, nel ricordo, si possono trovare incentivi per una informazione che stimoli e accetti confronto, produca conoscenza, senza rinunciare ad essere se stessi, alle proprio idee. Solo così torneranno le Feste, quelle di popolo.