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Turisti “low cost” in tempo di terrorismo fondamentalista. Quale sicurezza?

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Il terrorismo fondamentalista nei suoi indiscriminati attacchi ha massacrato una moltitudine di turisti, spesso “low cost”, senza nessuna distinzione religiosa o razziale. Le misure di sicurezza, purtroppo, sono risultate inefficaci, nonostante gli stati d’emergenza decretati in molti stati dell’Unione Europea. Un senso primordiale di sopravvivenza sta quindi dominando le scelte di milioni e milioni di turisti. Le destinazioni più gettonate finora stanno ricevendo un colpo ferale e i grandi vettori “low cost” e non solo cominciano a denunciare profitti mancati, spingendosi verso riduzioni di personale e revisione delle rotte. Le nazioni a vocazione più recettiva assistono impotenti a cancellazioni di prenotazioni e soggiorni. La maggiore “industria leggera” d’Europa sta vivendo con angoscia un declino inesorabile.

Ma quanto le misure di sicurezza sono più o meno responsabili di questa défaillance? E poi sono davvero così capaci di contrastare gli attacchi dei “lupi solitari”, delle “cellule dormienti”? E le nuove norme restrittive della circolazione bastano a scoraggiare il “turismo terroristico”? Non rischiano, invece, di suscitare un effetto contrario, penalizzando quel “turismo low cost” che ha permesso negli ultimi venti anni di mondializzare, globalizzare decine di milioni di giovani, studenti, ma anche coppie avanti negli anni, intere famiglie, grazie anche all’uso del WEB.

Basta fare un giro turistico “low cost” in questi giorni, tra la Francia e l’Italia, per accorgersi che qualcosa non funziona a dovere nel sistema di sicurezza e nelle norme per fronteggiare i pericoli del terrorismo. Ecco una piccola cronaca di viaggio con aereo “low cost” da Roma a Parigi in piena stagione turistica e all’indomani della strage di Nizza.

Si parte in un giorno di fine luglio in taxi dal centro di Roma, all’alba, per l’aeroporto di Ciampino e si arriva all’ingresso verso le 5,15. Davanti alla garitta dell’ingresso un paio di carabinieri osservano le auto, specie le private, e qualche volta ne fermano una per accertamento dei documenti. Tra il parcheggio e le vie di accesso all’aerostazione c’è solo una volante di polizia ferma, ma non si vede l’equipaggio. Pur essendo un aeroporto in parte ad uso militare, di rappresentanza istituzionale e diplomatica, con zona dedicata ai jet privati dei “vip”, non vi sono le jeep dell’Operazione Strade Sicure né altri mezzi militari.

Dentro agli imbarchi e ai check-in centinaia di persone per registrare le valigie da imbarcare e per recarsi ai metaldetector, ma i saloni sono privi di agenti e di militari in assetto di controguerriglia. Si passa agli imbarchi dopo essere stati scannerizzati, senza la cintura dei pantaloni, con le scarpe tolte, i liquidi gettati nel cestino. Ci si imbarca sull’aereo della Ryanair, mostrando al personale di terra il biglietto elettronico e il passaporto: destinazione Parigi/Beauvais. Un’ora e mezza di volo.

Nessuna autorità di frontiera ha controllato i nostri passaporti. Nessuna unità cinofila a perlustrare i bagagli per “sniffare” materiale esplosivo.

E se da quell’aeroporto transitassero dei jihadisti di ritorno dai campi di guerra dell’ISIS, addestrati agli attacchi terroristici, ben mimetizzati negli abiti e nelle sembianze? E se disponessero di passaporti falsi, ma ben artefatti? Le ultime indagini della evidenziano passaggi di islamici sospetti provenienti dalla Siria, via Bari, destinazione Francia.

Forse a Ciampino ci sono misure altamente sofisticate di sicurezza, talmente nascoste, specie per i terroristi, che nessuno di noi “turista low cost” è riuscito a riconoscere? Oppure è sempre valido “l’accordo” segreto tra i governanti italiani e quelli arabi del Golfo, definito dai democristiani Andreotti e Moro, ministro degli esteri, con la mediazione del nostro responsabile dei servizi segreti in quel settore strategico, il colonnello Stefano Giovannone: l’Italia “piattaforma” di passaggio dei militanti arabi e non obiettivo di ritorsioni da parte dei palestinesi e di ogni altro gruppo islamico?

All’arrivo in Francia, nell’aeroporto di Beauvais, in Normandia, verso le 8,20 si sbarca e qui ci si confronta con lo “stato di emergenza” francese. Per 20 minuti si sta ammassati in fila sulla pista prima di entrare nell’hangar adibito a frontiera, mentre atterrano altri aerei, a pochi metri avvengono le operazioni di carico/scarico e di rifornimento carburante (momenti di alta pericolosità). Pioggia, vento o sole non importa! Quindi, si entra nel salone strapieno, con circa 200 persone che attendono il controllo dei passaporti o di altri documenti (carta di identità, patente) da parte di soli 2 addetti della frontiera. Un’altra ora e mezza di attesa, più o meno! L’aria condizionata è un optional in questa specie di hangar con soffitti di lamiera.

La libera circolazione decretata con il Trattato di Schengen se ne va così in soffitta; mentre basterebbe obbligare i cittadini dell’Unione a dotarsi del nuovo passaporto con microchip, foto a scansione e impronte digitali (costo una tantum sui 110 euro, validità 10 anni): tutto il sistema Europol ha così in tempo reale i connotati dell’intestatario e attraverso una semplice “macchinetta” della 3M i controllori alla frontiera possono scannerizzare tutte le informazioni e accertare l’autenticità del passaporto.

Una volta controllati i documenti, si passa al ritiro bagagli, che intanto girano e girano sui nastri da tempo immemorabile, con il rischio che qualche “furbetto” si impadronisca del vostro o che venga spostato dagli addetti all’hand-landing nel settore “dispersi”. Qui si incontra la prima pattuglia dell’Armée de France con i fucili mitragliatori imbracciati e l’assetto da combattimento. Anche fuori dalla aerostazione si intravvedono jeep militari.

Finalmente, verso le 10,10 si parte con il bus destinazione Porte Maillot, Parigi. Dopo un’ora e mezza di viaggio, si raggiunge in pochi minuti a piedi la stazione della Metro numero 1, la centrale, modernissima, che corre senza manovratori. Scese le scale con i bagagli annessi (la Metro di Parigi non è “a norma europea”, non esistendo ascensori per handicappati o altri facilitazioni logistiche), ci si blocca davanti alle biglietterie automatiche (quattro) e al gabbiotto dei gentili addetti. La fila di giovani e non solo dura su i 30 minuti, nel caldo afoso e umido. Fuori e dentro i locali della Metro (seppure sotto attenta sorveglianza televisiva) non c’è alcuna presenza di forze dell’ordine o di militari. Ma tra la gente, che aspetta pazientemente il proprio turno per acquistare i biglietti, si scorgono visi preoccupati e si intavolano discorsi angosciati sulla sicurezza e sugli attentati recenti.

Dall’attacco a Charlie Hebdo nel gennaio del 2015 alla recentissima strage di Nizza, molto è cambiato in Francia: le norme di sicurezza si vedono, la gente ogni volta riprende a vivere nella routine, ma le preoccupazioni sono evidenti, palmabili. Il turismo è calato dovunque. Anche se buchi nella rete di protezione da parte dei servizi segreti, di polizia e gendarmeria vengono denunciati da destra e da sinistra in questa campagna elettorale presidenziale fortemente anticipata (si svolgeranno nella primavera del 2017), e anche se è la Francia l’obiettivo primario da parte dell’integralismo islamico, le misure di sicurezza fungono in parte da deterrente.


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