di Francesco Zannini (docente di Islam contemporaneo e Giurisprudenza islamica presso il Pisai – Pontificio istituto per gli studi arabo-islamici di Roma)
In un paese musulmano il cui inno nazionale è un canto di un poeta indù (Robindronath Tagore) e in cui si sono sviluppate civiltà e tradizioni religiose diverse che convivono nell’animo di ogni bangladeshi, è esplosa recentemente una efferata violenza xenofoba con una motivazione pseudo-religiosa. Ci si chiede allora: perché? Perché giovani educati nelle migliori università del paese di ricche famiglie, provenienti da ambienti di formazione laica, hanno così brutalmente massacrato persone da loro dichiarate infedeli?
Io stesso, che ho vissuto per circa quindici anni in Bangladesh e ho anche avuto modo di insegnare nell’Università di Dhaka, ne sono rimasto profondamente colpito. Non che non abbia assistito ad episodi di violenze e di lotte tra giovani fondamentalisti islamici e giovani di formazione laica. Mi ricordo ancora di quel giorno in cui, insegnando all’Università, tenni una mia lezione mentre i proiettili sparati dagli opposti gruppi volavano nell’aria e quando io stesso scampai ad un attentato di elementi radicali islamici e fui salvato nientemeno che da membri della Jamaat-e-Islami!
Questi furono, tuttavia, episodi isolati, in tanti anni vissuti nella pace e nel dialogo con musulmani, buddhisti e indù, che mi hanno sempre accolto con grande amicizia e fraternità, in un paese in cui l’identità culturale ha tradizionalmente superato le diversità etniche e religiose.
L’induismo e il buddhismo hanno forgiato, assieme alla tradizione islamica, il musulmano bengalese, che è stato pronto a difendere il proprio patrimonio culturale dall’imposizione di una cosiddetta “cultura islamica” proveniente dall’esterno fino a morire assieme a non musulmani, come shahîd (martire), il 21 febbraio 1952 sotto i colpi dei soldati pakistani. Così musulmani, cristiani, indù e buddhisti celebrano ogni anno il “Giorno dei Martiri” portando fiori al “Santuario dei Martiri” (Shahîd Minar). La stessa ricca letteratura del Bangladesh è frutto del contributo di cristiani, musulmani, indù e buddhisti ed ogni studente bangladeshi legge le opere di questi grandi autori di diversa appartenenza religiosa.
D’altro canto la recente ondata di integralismo che ha percorso tutta l’Asia, ha portato un nuovo riaffermarsi di forme ideologiche di islam, con atteggiamenti di intolleranza e di conflitto che hanno messo in crisi il processo di dialogo e di tolleranza che ha caratterizzato lo sviluppo dell’islam in Bangladesh. Il Bangladesh, infatti, nasce come uno “stato secolare”, ma nel 1988 il presidente Ershad cambierà la Costituzione dichiarando l’islam “religione di Stato”. Inoltre, la situazione di instabilità politica che ha caratterizzato gli ultimi decenni, dovuta allo scontro tra i due maggiori partiti del paese, ha generato una serie di inaudite violenze, cui si sono aggiunti gli atti di terrorismo religioso dei fondamentalisti islamici che avevano formazioni armate fin dagli anni Ottanta. Tuttavia, quest’ultima strage non sembra possa essere semplicemente vista in tale contesto. Coloro che hanno compiuto la strage sono giovani studenti universitari con una buona educazione e che non si rifanno a movimenti locali ma al messaggio di jihâd globale proclamato dal sedicente califfato dell’Isis.
Si pone allora il problema riguardante la gioventù musulmana in quanto tale, il ruolo di internet e dei social network. Infatti, con l’avvicinarsi della pubertà i giovani musulmani, ancor più che quelli dei paesi occidentali, entrano in una specie di stato confusionario. Questo perché l’islam nella sua tradizione pedagogica e giuridica tradizionale, come pure nella mentalità comune e nel diritto islamico, non prende generalmente in seria considerazione quello stato di semi-indipendenza e di maturità non ancora piena che è l’adolescenza e la giovinezza. La questione dell’identità diventa quindi centrale per il giovane musulmano, al quale vengono offerti modelli di vita tra i più vari e più disparati, creando spesso in lui un costante fluttuare di identità.
Accanto a tutto ciò il giovane musulmano ha dovuto anche fare i conti con un crescente invito alla violenza da parte di movimenti radicali e politicizzati all’interno dell’islam. Così, come evidenziano le biografie dei terroristi di Dhaka, l’esistenza di una pluralità di sistemi, di culture e di tradizioni, da quella occidentale a quella tradizionale bengalese a quella islamica, vissute l’una a fianco all’altra, ciascuna con una sua specifica logica ed una propria visione del mondo, senza una vera sintesi mette in crisi l’identità di questi giovani. Essi infatti spesso non sono preparati a quel dialogo “intra-religioso”, di cui parla Panikkar, che ha prodotto personalità che, come Gandhi, si sono fatte promotrici dei dialogo e di pace in tutto il continente asiatico. Essi sono più aperti a proposte totalizzanti ed esclusiviste, come quelle fatte dai movimenti musulmani radicali che divengono attrattive proprio perché offrono una ideologia chiara e definita per questo mondo e l’assicurazione della felicità nell’Aldilà. In questo senso giocano un ruolo fondamentale i social network, molto usati dai giovani bangladeshi, che rappresentano per essi il momento educativo più adatto alla loro esperienza e sensibilità, ma che allo stesso tempo sono il veicolo con cui l’islam radicale e violento si diffonde.
Si tratta dunque – come molti miei amici musulmani, particolarmente in Bangladesh, mi hanno fatto notare – di rivedere tutto l’approccio del mondo islamico alla questione dell’educazione religiosa dei giovani, con la proposta di un islam che rappresenti una risposta di sintesi e non di rottura a proposte culturali diverse e con l’educazione al dialogo interreligioso e interculturale. È quello che sta facendo un mio carissimo amico, il professor Kazi Nurul Islam, che ha costituito nell’Università di Dhaka un Dipartimento delle religioni mondiali in cui i giovani musulmani, vengono educati al dialogo e non alla contrapposizione, in quanto, come spesso ha affermato lo stesso Kazi Nurul Islam, «l’ignoranza è la madre dell’odio».