L’articolo 18 è una diga contro i licenziamenti arbitrari. Non è prudente scommettere che, eliminata questa barriera, il livello del bacino retrostante, quello dell’occupazione, resti inalterato o addirittura si accresca.
L’articolo 18 è una diga contro i licenziamenti arbitrari. Non è prudente scommettere che, eliminata questa barriera, il livello del bacino retrostante, quello dell’occupazione, resti inalterato o addirittura si accresca.
Avventurandosi su questa strada, i nostri governanti rischiano di assumere il ruolo di apprendisti stregoni e di vedere un giorno le piazze gremite di “licenziati Monti”. Da un gruppo di professori si attenderebbe una maggiore ponderazione e anche una più approfondita preparazione tecnica. Alcuni recenti passaggi della vicenda articolo 18 destano preoccupazione per una certa approssimazione nell’approccio al problema. Su almeno due punti di rilevante importanza il governo ha dovuto correggere incaute affermazioni. Il ministro Fornero ha affermato in un primo tempo che la nuova legge aumenterà le tutele dei lavoratori perché impedirà i licenziamenti discriminatori anche nelle aziende con meno di 16 dipendenti.
Un errore che non verrebbe perdonato ad uno studente del terzo anno di giurisprudenza, dal momento che questa protezione per i dipendenti delle piccole imprese è già assicurata dalle norme vigenti. Il governo ha poi escluso che l’articolo 18 si applichi nel pubblico impiego, dimenticando che la disciplina giuridica di questo settore è stata “privatizzata” con conseguente applicazione nel suo ambito dello Statuto dei lavoratori. Perciò la prevista eliminazione della tutela reintegratoria si verificherebbe anche per i dipendenti pubblici, che sarebbero esposti al rischio dei licenziamenti arbitrari, camuffati con ragioni economiche, ma dettati da esigenze politico-elettorali di “spoil sistem”.
Anche su questo terreno il governo ha dovuto ammettere di essersi sbagliato e, rendendosi conto dell’allarme destato, ha assicurato l’introduzione nel nuovo sistema di misure di salvaguardia per i pubblici impiegati. Si tratta di un errore di non poco conto anche perché il rimedio previsto appare di dubbia costituzionalità. In questa materia non si può andare avanti a tentoni. Nel 1970 l’approvazione da parte del Parlamento dello Statuto dei lavoratori fu preceduta dai lavori di una commissione parlamentare che ne verificò la necessità. Se si vogliono evitare errori difficilmente riparabili si deve oggi controllare in Parlamento se le esigenze ravvisate dal legislatore nel 1970 siano tuttora valide, oppure se siano venute meno in tutto o in parte. Una verifica che andrà condotta su dati di fatto e su una attenta analisi della normativa vigente, con l’ausilio di esperti della materia. Non lasciamo, come si dice a Napoli, “la fessa in mano ai creaturi”.