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Provenzano e le speranze di una Sicilia in lotta

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Addio a Bernardo Provenzano, ovviamente senza rimpianti. Se ne è andato a ottantatré anni uno dei peggiori criminali che si ricordino, un mafioso con alle spalle una montagna di malefatte e di omicidi e, soprattutto, un uomo che ha tenuto la propria terra prigioniera della cappa odiosa del malaffare, dell’omertà e della barbarie. Se ne è andato senza confessare nulla, senza mai pentirsi per i suoi delitti, senza chiedere scusa a nessuno, da “uomo d’onore”, come si è soliti dire nel gergo tipico di quella congrega.
Tuttavia, a noi non interessa star qui a ragionare su un personaggio in merito al quale è stato già detto e scritto di tutto, a proposito del quale sono stati realizzati film, documentari e indagini giudiziarie che si protraggono da decenni; ci interessa, al contrario, riflettere sulle condizioni in cui versa attualmente la Sicilia, regione bellissima ma spolpata, devastata da decenni di incuria, mala politica e dominio dei clan che l’hanno presa in ostaggio e immiserita attraverso continue depredazioni e costanti scempi paesaggistici.
Come scrivemmo dieci anni fa, al momento della cattura, ci piace immaginare che dalla morte di Provenzano la Sicilia onesta, libera, pulita, la Sicilia che vive nel ricordo e nell’esempio di Boris Giuliano, Lenin Mancuso, Cesare Terranova, Peppino Impastato e sua madre Felicia, Falcone e Borsellino e molti atri ancora, vogliamo sperare che quella parte, ampiamente maggioritaria sappia trarre dalla morte di “Zu Binnu” la forza e l’energia morale per dire mai più.
Vogliamo sperare che, in occasione del venticinquesimo anniversario della tragedia di Libero Grassi, la presa di coscienza circa l’insostenibilità e l’indecenza del pizzo diventi un valore condiviso e unanimemente praticato.
Vogliamo sperare che, dopo l’approvazione della legge contro il depistaggio, vengano a galla tutte le responsabilità, le connivenze e le coperture assicurate nel corso dei decenni a questo cancro, a questa piovra che tuttora infesta la politica e decine di amministrazioni locali nonché che crolli quel muro di omertà istituzionale che rende difficile, per non dire pressoché impossibile, il lavoro di magistrati coraggiosi e costantemente minacciati di morte come Nino Di Matteo.
Vogliamo sperare che la Sicilia che verrà si lasci per sempre alle spalle quella novecentesca, quella dei padrini e delle collusioni, dei latifondisti pronti ad accordarsi con qualunque potere in nome dei propri interessi, dei massacri in stile Portella della Ginestra, quella descritta con mirabile sagacia da Leonardo Sciascia e sempre negata da coloro che arrivavano finanche a smentire l’esistenza stessa della mafia, criticando selvaggiamente chiunque osasse anche solo pronunciare questa parola.
Vogliamo sperare che la prossima giunta regionale sia in grado di aprire quella fase nuova a lungo promessa e auspicata e sempre contrastata da interessi superiori a stretto contatto con la manovalanza criminale che si è poi incaricata materialmente di arrestare il cambiamento.
Vogliamo sperare che la presenza al Quirinale di un galantuomo come Sergio Mattarella, fratello di quel Piersanti Mattarella emblema di questa lotta che è costata la vita a molti, costituisca un monito per quanti decidono di occuparsi di politica, affinché tornino a considerarla un bene comune e non un affare privato di pochi capoccia locali invischiati con i più loschi interessi esistenti sulla faccia della Terra.
Vogliamo sperare che tutto ciò che abbiamo scritto non venga derubricato alla voce utopia o, peggio ancora, retorica momentanea, inchiostro destinato ad asciugarsi in fretta e a sbiadire senza lasciare traccia, proprio come il sangue di chi ha pagato con la vita il prezzo delle proprie denunce e della propria dignità.
Vogliamo sperare che questa “buona battaglia”, che in passato accomunò un comunista come Pio La Torre e democristiani come Mattarella e Leoluca Orlando, torni ad essere un ideale condiviso, al netto del fisiologico e sacrosanto conflitto di idee che caratterizza le varie forze politiche.
Vogliamo sperare, infine, che questa Sicilia in lotta, desiderosa di riscatto e di futuro abbia la meglio, affinché personaggi come Provenzano non abbiano eredi e, soprattutto, non si generi più il brodo di coltura in cui sono prosperati, spadroneggiando ed espropriando un’intera comunità del sacrosanto diritto di provare a costruire, insieme, un avvenire migliore.


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