La Spagna è tornata domenica alle urne dopo il voto di sei mesi fa, stante l’incapacità dei partiti di trovare un accordo di governo. Il voto ha un solo vero vincitore, Mariano Rajoy col Partido Popular, e tre sconfitti: le sinistre, Ciudadanos e gli istituti demoscopici (che sia nei sondaggi precedenti al voto che, clamorosamente, negli exit poll, davano il sorpasso a sinistra e Podemos e Psoe che sfioravano la maggioranza assoluta). I popolari crescono rispetto a dicembre sia in seggi (137, più 14) che in voti assoluti (7,9 milioni, il 33,03%, 700mila elettori e il 4,3% in più). Il Psoe, che pure tira un sospiro di sollievo per aver conservato la leadership a sinistra, ottiene il peggior risultato della sua storia: 85 seggi (meno 5), poco più di 5,4 milioni di voti (centomila in meno) a fronte di una lieve crescita percentuale, il 22,66 % (era il 22,01). I grandi sconfitti sono i partiti nuovi. Unidos Podemos (Up), la coalizione dei viola di Pablo Iglesias con Izquierda unida, mantiene i 71 seggi che i due partiti avevano separati, ma perde oltre un milione di voti e arriva al 21% (era il 20,66 per i viola e il 3,67 per Iu). Ciudadanos perde otto seggi e si ferma a 32, ottenendo poco più di 3,1 milioni di voti e il 13,05% (quasi 400mila voti e lo 0,93% in meno).
Il Pp si conferma il mistero glorioso della politica europea. Non esiste un partito tanto flagellato dagli scandali in grado di non pagare nelle urne inchieste, scandali e arresti. A Valencia (ex granaio di voti popolari dove da un anno governano le sinistre) l’ex sindaca si è salvata dall’arresto solo perché nel frattempo è diventata senatrice, le iscrizioni nel registro degli indagati hanno azzerato il partito, indagato come associazione a delinquere per corruzione e riciclaggio, la federazione non ha neanche potuto procedere alle abituali sospensioni cautelative per non perdere rappresentanza nelle assemblee elettive. L’ultimo scandalo, la filtrazione delle registrazioni di conversazioni tra il ministro degli Interni Jorge Fernández Díaz e il direttore dell’Ufficio anticorruzione catalano, Daniel de Alfonso, su come colpire politici di partiti avversari, tocca da vicino Rajoy. Nulla però, neanche la presenza di un’alternativa di centrodestra, riesce a far scendere il Pp sotto i sette milioni di voti. Anzi, nelle province più colpite dagli scandali, come Soria, Murcia, Granada e la stessa Valencia, malgrado sindaci arrestati, comuni perquisiti, malversazione di fondi pubblici, recupera consensi e seggi.
Il Psoe mantiene il secondo posto e evita il sorpasso a sinistra. Pedro Sánchez si è presentato ai militanti come un vincitore ma le cose per i socilista non vanno per niente bene. Il partito ha ottenuto il peggior risultato della storia socialista, peggiorando ancora quello di dicembre che già era il record negativo, retrocede nelle città, perde il voto giovane, si indebolisce nei suoi granai di voti. Inoltre le divisioni interne sono feroci e, anche se il mancato tracollo (e soprattutto il cattivo risultato andaluso, terra della sua principale avversaria, Susana Díaz) rafforza il segretario, non si può escludere una resa dei conti.
Podemos, malgrado l’alleanza, perde in sei mesi oltre un milione di voti. Resta la terza forza e ottiene buoni risultati in Catalogna e nel Paese basco, ma la delusione è cocente. È vero che tutti giocavano contro i viola, che in due anni è stata costruita una realtà destinata a restare, ma i toni anni ’70 hanno allontanato elettori over 50 provenienti dal Psoe e nelle grandi città la spinta rallenta. Iglesias è stato il primo leader a commentare i risultati, ammettendo la sconfitta, e l’unico a sottoporsi alle domande dei giornalisti. Un comportamento esemplare che però dovrà proseguire con una profonda disamina degli errori. A cominciare dal fatto che parlare di «vincere col sorriso» mentre si grida con la bava alla bocca rincuorerà, forse, la militanza ma allontana il voto d’opinione.
I leader delle due sinistre devono fare una riflessione comune. Entrambi, dopo lo scorso voto, hanno dato l’impressione di non voler veramente formare un governo. Se la responsabilità maggiore è di Sánchez, con la firma del patto con C’s una volta avuto l’incarico di formare il governo per la rinuncia di Rajoy, l’atteggiamento provocatorio e politicamente immaturo di Iglesias fin dall’indomani del voto non ha facilitato le cose, fornendo anzi alibi ai socialisti. Quello dei due partiti è un elettorato in buona parte intercambiabile. Le accuse reciproche di populismo o appartenenza alla casta sottolineano una poca volontà costruttiva che ha demotivato gli elettorati e prefigurato in parte la vittoria della destra.
Ciudadanos, l’altro nuovo partito, ha perso otto seggi, a fronte di una flessione di meno dell’1 per cento del voto. La sollecitazione dell’orgoglio dei moderati di centro non è bastato a contenere il voto utile invocato dal Pp. Nascondersi dietro la legge elettorale, che indubbiamente favorisce il Pp, rischia di essere un atto consolatorio. Quando la spinta mediatica rallenta (il partito è stato promosso in chiave anti Podemos e per offrire una casa agli elettori popolari disgustati dalla corruzione) rallenta anche il voto arancione. Il sogno di un centrodestra moderno e senza corruzione non riuscirà a camminare con le sue gambe finché il partito non darà prova di saper governare e di produrre una classe dirigente all’altezza della sua unica punta, Albert Rivera.
Rajoy ha rivendicato la sua legittimità politica a formare un governo. È il vincitore, ma i numeri non lo rendono facile. Non esistono maggioranze assolute possibili, essendo da scartare quella Pp – Psoe. Sánchez ha detto in ogni modo che non favorirà un governo dei popolari neanche con l’astensione. Anche Rivera ha detto che non favorirà un governo del Pp. Neanche col secondo voto, quando basterà la maggioranza semplice, sarà facile trovare una soluzione. Teoricamente, ci sarebbe la possibilità per il Psoe di guidare due diverse maggioranze. Una con Up e C’s (ma Iglesias e Rivera sono irriducibili), l’altra con le sinistre e i partiti nazionalisti, senza Ciudadanos (ma Sánchez ha detto che non cercherà i loro voti). Il segretario socialista ha ribadito oggi che non favorirà in nessun modo un governo dei popolari. La sua avversaria Díaz, dopo la sconfitta, non ha intenzione di forzare spingendo qualcuno dei deputati a lei fedeli a un voto diverso da quello del gruppo (basterebbero pochi astenuti per consentire a Rajoy la formazione di un governo). Rivera ha di nuovo invitato Pp e Psoe a sedersi insieme a un tavolo di trattativa, ricevendo da entrambi un rifiuto. Se nessuno cambia posizione, la ricerca di un governo per il paese rischia di essere una nuova via crucis. E non si può neanche escludere del tutto che gli spagnoli vengano chiamati nuovamente alle urne.