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Morti sul lavoro. La battaglia di Rosario

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“Sono indignato e incazzato, questo lo può scrivere perchè è la verità” la voce è quella di Rosario D’amico, figlio di Antonio, morto in seguito ad incidente sul lavoro il 6 marzo 2002. Dopo 10 anni, appena la settimana scorsa si è concluso il processo, dichiarato prescritto

“Sono indignato e incazzato, questo lo può scrivere perchè è la verità” la voce è quella di Rosario D’amico, figlio di Antonio, morto in seguito ad incidente sul lavoro il 6 marzo 2002. Dopo 10 anni appena la settimana scorsa si è concluso il processo, dichiarato prescritto, benchè una simile richiesta “ non fosse stata avanzata neanche dagli avvocati della controparte”. Precisa Rosario, anche lui operaio Fiat.

Rosario e la sua famiglia non si danno pace non si capacitano che un processo per omicidio colposo arrivato al secondo grado, con tre condanne comminate in primo grado ( 3 su 7 imputati) alla fine venga dichiarato prescritto.
“Siamo costretti ad aspettare che la sentenza venga resa pubblica, 90 giorni circa, per capire cos’è successo, cosa scriverà il giudice, in che modo le testimonianze pesanti che sono state rese verranno messe da parte, in che modo ancora verranno rese vane le dichiarazioni spontanee rese dal carrellista, il ragazzo che stava alla guida del muletto che quel giorno investì mio padre…”
In quelle dichiarazioni spontanee infatti c’è un mondo che si svela, un mondo fatto di carenze nella sicurezza, precarietà, mancata formazione.

“Il ragazzo- continua Rosario- ha dichiarato spontaneamente di non aver mai fatto corsi di formazione, ha chiaramente parlato di carenze a livello di norme di sicurezza, ha detto della sua condizione di precario, e che quel giorno correva con il muletto perchè si sentiva pressato da ritmi di lavoro sempre più serrati, ha fatto nomi e cognomi parlando con le lacrime agli occhi e chiedendo scusa alla mia famiglia…”
E tutto questo è svanito di colpo.
A distanza di 10 anni Rosario si sente ributtato indietro nel tempo.

“Sono stato trattato male dal giudice!” Dice amareggiato. “Chiedevamo solo giustizia ed ecco invece cosa abbiamo ottenuto… esistono video, testimonianze, ricostruzioni dei periti che dimostrano come effettivamente ci fosse una carenza di sicurezza, mancanza di passaggi pedonali e specchietti eppure non è stato sufficiente…”
Anzi, come se non bastasse al momento di pronunciare la sentenza, i famigliari sono stati circondati dalla polizia “senza alcun motivo” racconta ancora Rosario, incredulo.

Intanto lui, ancora operaio Fiat, è stato spedito al famigerato “reparto confino”, quello di Nola, dove c’è Fiat logistic “ …dove- dice- il lavoro sta solo sulla carta, ma realmente non esiste… lì ci sta la gente che dava fastidio a Pomigliano.”
E quello che lo preoccupa non è tanto il lavoro, non è la cassa integrazione straordinaria che finirà per lui nel 2013, e certo in un territorio come quello campano è un problema grosso, quello che gli preme adesso è raccontare la sua storia: “ Perchè un cittadino onesto non può morire nella più totale indifferenza!”


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