Brexit, cosa succede in Gran Bretagna?

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L’incredulità della prima ora non è ancora del tutto scemata che il Regno Unito sta già cercando di mettere insieme i pezzi per capire cosa ci sarà dopo la Brexit votata lo scorso 23 giugno. Cosa tutt’altro che semplice. Ma cos’è successo? Cerchiamo di ricostruire il quadro della situazione. Quello che è successo, dal punto di vista di una giornalista emigrata a Londra, è che l’esito del referendum sia stato sottovalutato fino a poche settimane prima del voto. I sondaggi davano, anche se di poco, in costante vantaggio il “Remain” (il voto a favore della permanenza dell’UK nell’Unione Europea),  e neppure il Labour party di Corbyn sembrava allarmato.

 

Secondo i sondaggi del Financial Times, per esempio, il Remain aveva perso punti solo una decina di giorni prima del terribile omicidio della deputata laburista Jo Cox (ndr. Ho tracciato una linea rossa per sottolineare il momento)  per risalire subito dopo.
La possibilità che vincesse davvero il Leave (la volontà di lasciare L’EU) non è mai stata presa seriamente, le argomentazioni dei sostenitori erano risibili e smontate volta per volta.

Vi era, a onor del vero, un’informazione tendenzialmente parziale perché di fatto nessuno poteva sapere che cosa realmente sarebbe successo durante le negoziazioni dei trattati. Ed ancora è così, perché al momento nessuno, neppure gli economisti più esperti, può davvero prevedere su quale piano avverranno le trattative né, a questo punto, chi tratterà con l’UE viste le dimissioni del Primo Ministro Cameron.

Tanto era remota la possibilità di lasciare l’Europa che perfino il comitato per il Leave ha chiuso le porte del suo quartier generale alla stampa durante lo spoglio. Ma la carenza di strumenti di valutazione delle conseguenze del voto a favore della Brexit ha lasciato campo libero alla ferocia della campagna dei Leave che, nonostante gli argomenti discutibili, era quella che alzava di più i toni e prendeva a pugni la pancia degli inglesi. Soprattutto di quelli che vivono fuori dai grandi centri urbani, che sono stati poi quelli che hanno fatto la differenza nel voto.

Mappa del voto realizzata dalla BBC. In giallo "Remain" in blu "Leave".
Mappa del voto realizzata dalla BBC. In giallo “Remain” in blu “Leave”.

E ora? E ora la scena è aperta agli atti di razzismo. I social media si stanno riempendo di testimonianze di chi è stato vittima o ha assistito a momenti orribili durante i quali persone urlano ad altre di tornare a casa loro.

Alle promesse rimangiate. Sì perché i sostenitori del Leave sembra stiano rimodulando la loro posizione. Solo pochi giorni fa, Nigel Farage ha dichiarato che uno dei suoi cavalli di battaglia nella campagna pro Brexit sia stato “un errore“. Il leader dell’UKIP sosteneva che, in caso di Brexit, i soldi che l’UK inviava ogni settimana all’UE sarebbero stati dirottati all’NHS, che è il sistema sanitario nazionale. Cosa che poi si è rimangiato durante un’intervista televisiva.

Ai rimpianti. Perché laddove l’informazione era parziale per carenza di oggettivi elementi di valutazione delle conseguenze (in fondo nessun Paese ha mai lasciato l’Unione Europea), alcuni organi di stampa ci mettevano il carico informando poco e male i loro lettori che ora si sono sentiti traditi.  Proprio qualche giorno fa il Daily Mail, strenuo sostenitore del Leave, ha pubblicato un ricco articolo sulle possibili ripercussioni della Brexit sulla vita delle persone lasciando i suoi lettori sconcertati, pentiti per aver votato Leave e contrariati per un servizio informativo in ritardo.

Alla caccia ai colpevoli. In questi giorni il leader laburista Jeremy Corbyn si trova infatti nell’occhio del ciclone perché accusato dai suoi stessi compagni di partito di non aver condotto una forte campagna pro Remain. Ad oggi, due terzi del suo shadow cabinet (una sorta di governo ombra formato dall’opposizione) hanno rassegnato le dimissioni e la stabilità del leader laburista sembra sempre più in bilico, specie dopo il voto di sfiducia di poche ore fa.

E, infine, ora resta l’amarezza e il senso di rifiuto di noi italiani (ma non solo) in Gran Bretagna. Resta la sensazione di non essere più benvenuti in un Paese che ospita circa 600mila connazionali. Resta la tristezza nel vedere una nazione, che per molti di noi significava la seconda possibilità negataci in Italia, isolarsi e chiudersi in sé stessa. Gli eurocratici non hanno accolto per niente bene la scelta dell’UK e, probabilmente, non saranno magnanimi quando sarà il momento di discuterne. Noi, immigrati in un Paese che non ci vuole, nel frattempo cercheremo di rimettere insieme le cose. E infilarle in valigia.

 

 


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