La Pietro Grimaldi è un’azienda campana che da oltre 40 anni produce conserve di pomodoro. Aderisce alla campagna “Buoni e giusti” Coop. “Dire che si ricorre all’illegalità perché non si riesce ad operare assumendo regolarmente gli operai è un mito. È un discorso di mentalità”
ROMA – La legalità è una scelta di campo. Non è questione di costi. E i frutti, prima o poi, arrivano. Parola di Fabio Grimaldi, uno dei titolari della Cav. Uff. Pietro Grimaldi, azienda campana che da oltre 40 anni produce conserve di pomodoro. Nello stabilimento in provincia di Salerno vengono lavorate ogni anno circa 10 mila tonnellate di pomodori coltivati tra le zone di raccolta del foggiano, nella Piana del Sele e nell’agro Nocerino Sarnese. Luoghi dove il caporalato è una piaga difficile da estirpare. Tuttavia c’è chi, prima di acquistare un pomodoro da un coltivatore, si assicura che non sia stato raccolto da lavoratori sfruttati, sottopagati e non in regola. È l’azienda dei fratelli Pietro e Fabio Grimaldi, una di quelle che aderiscono alla campagna “Buoni e giusti” promossa dalla Coop.
Ma come si fa ad esser certi dell’operato dei fornitori? Per Fabio Grimaldi ci sono alcuni fattori da considerare, ma non deve mancare il monitoraggio. Uno degli indicatori, ad esempio, è l’utilizzo di macchinari per la raccolta da parte dei fornitori, ma non è l’unico. “È un indice scelto per selezionare le aziende agricole che ci conferiscono la materia prima – spiega Grimaldi -, ma questa variabile rientra in una programmazione più ampia di individuazione di caratteristiche a garanzia di legalità. Una di queste è data dalla dimensione dell’azienda agricola: più è grande, più diminuisce il rischio di sfruttamento del lavoro e di mancanza di condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro. Un’azienda agricola impegnata in più culture, pomodoro, grano, finocchi e altro, è un’azienda che ha bisogno di manodopera tutto l’anno. Se non altro per buona parte dell’anno. Quindi è meno soggetta e meno propensa ad attivare rapporti di lavoro non regolari o caratterizzati da situazioni di sfruttamento”.
La Grimaldi, quindi, seleziona le aziende in base alla dimensione, alla tipologia di raccolta, ma anche sulla base di altri fattori, come ad esempio la possibilità di soluzioni abitative predisposte dalle aziende. “Tutto questo, chiaramente, va monitorato e verificato – spiega Fabio Grimaldi -. Noi attiviamo un piano di controllo affinché quello che viene programmato venga anche rispettato”. E poi ci sono i controlli da parte delle autorità competenti. Controlli di cui ormai si può esser certi. “Sono sicuri – spiega -. Da diversi anni i controlli da parte delle autorità sono costanti. Quasi tutti i produttori almeno una volta l’anno vengono interessati da verifiche da parte delle forze dell’ordine, dall’ispettorato del lavoro e le sanzioni sono importanti: per ogni operaio non regolarmente assunto è pari a 3.500 euro”.
Rispettare le regole e stare lo stesso sul mercato? Si può fare. Per Fabio Grimaldi, infatti, bisogna fare una premessa: “A volte questo fatto che si ricorre all’illegalità perché non si riesce ad operare assumendo regolarmente gli operari è un mito. È un discorso di mentalità. Talvolta si opera in un certo modo perché si è abituati ad operare in un modo”. Per Grimaldi, è vero: “il rispetto della legalità porta dietro dei costi maggiori, ma non ne farei una questione di vita o di morte. Assumere regolarmente o non assumere un operaio nella raccolta non comporta una differenza abissale nei costi. Detto questo è doveroso dire che laddove ci siano soggetti della grande distribuzione che danno un valore a questo modo di operare, per le aziende è più facile”. Ed è il caso della campagna “Buoni e giusti” di Coop che coinvolge 832 fornitori di ortofrutta (nazionali e locali) della catena e che operano con oltre 70 mila aziende agricole assicurando controlli a tutti i livelli.
Ed è stata proprio la Coop a dare la spinta necessaria alla Grimaldi verso un percorso di monitoraggio dei propri fornitori. “Abbiamo iniziato nel 2007 – aggiunge Fabio Grimaldi -. Fu allora che ci hanno chiesto di interessarci anche delle condizioni lavorative dei dipendenti dei nostri fornitori. L’impulso ci è stato dato dalla Coop: ci convocarono e ci comunicarono che era loro intenzione avviare questo tipo di monitoraggio sulla filiera del pomodoro, ma anche su altre filiere. Il processo di selezione, poi, è avvenuto nel tempo. Ci sono stati anche fornitori sospesi perché non ci convincevano alcuni comportamenti. L’attività di monitoraggio e controllo è costante. In dieci anni il bilancio è positivo sotto molti punti di vista”. Certo non si può dire che sia “tutto a posto”, chiarisce Fabio Grimaldi, ma le cose stanno cambiando. “Nel corso del tempo la situazione è migliorata – aggiunge -. Siamo riusciti a convincere maggiormente le aziende agricole ad assumere regolarmente la manodopera, mentre i controlli sono stati intensificati”. Quello che ancora non si riesce a fare è intervenire sulle condizioni abitative dei tanti braccianti che arrivano per la raccolta dei pomodori. “Non tutte le aziende agricole sono in grado di poter risolvere autonomamente questo tipo di problema. Noi cerchiamo di privilegiare quelle aziende che mettono a disposizione anche un alloggio o che comunque si preoccupano di fare in modo che i propri dipendenti possano avere una dimora accettabile, ma per far sparire determinati fenomeni c’è bisogno di un impegno maggiore da parte delle istituzioni”.
In questo processo aiutano le campagne di sensibilizzazione e il ruolo dei media diventa cruciale. “Più l’attenzione aumenta, più noi abbiamo vita facile nel chiedere un certo tipo di comportamento – racconta Grimaldi -. Sicuramente l’attenzione è aumentata e non solo in Italia. Ci sono state trasmissioni televisive in cui sono state denunciate le condizioni in cui versano gli immigrati che vivono nei ghetti. Anche i paesi del Nord Europa hanno scoperto questo fenomeno e hanno iniziato a chiedere delle garanzie ai propri fornitori”. Un aiuto non da poco, continua Fabio Grimaldi. “Quando abbiamo iniziato questa attività ci vedevano come degli scocciatori, ma i nostri fornitori non ne hanno mai fatto una questione di prezzo. Noi il pomodoro lo paghiamo bene, anche perché vogliamo un prodotto di qualità. Siamo disposti a riconoscere questo differenziale, ma allo stesso tempo vogliamo che non ci siano fenomeni che da un punto di vista etico possano essere inaccettabile. Sembra semplice, ma non lo è mai”.