“Morale (sostantivo derivante dal latino moràlia) identifica una serie di modelli comportamentali, tipici di determinati contesti sociali, realizzati mediante il perseguimento di determinate condotte ispirate da norme di comportamento“. Una definizione che tutte le enciclopedie, Wikipedia compresa, dovranno cancellare con il bianchetto.
Perché aver chiamato “concorso morale” una norma usata per condannare una ragazza che doveva fare una tesi di laurea citando una manifestazione di dissenso rimanda a nebbie del passato, a morali pruriginose, a “minima moralia”, a una decadenza del diritto. Quindi lei, la studentessa che ha seguito per conto dell’Università veneziana di Ca’ Foscari una manifestazione dei No Tav in Val di Susa per la sua tesi di laurea in Antropologia è stata rinviata a giudizio e poi condannata per aver descritto e studiato un fatto. Non vi ha preso parte. In questo caso non ha lottato con i poliziotti, non ha fermato i mezzi cingolati che stanno divorando la Valle, non ha imbrattato cantieri, non ha nemmeno urlato. Le riprese video della questura dicono invece che è stata defilata, ha osservato i comportamenti dei vari gruppi mentre nell’estate del 2013 a Salbertrand (Torino) si era svolto un volantinaggio davanti alla sede dell’Itinera, una ditta che forniva materiali per il cantiere del Tav, con il blocco di un camion e l’ingresso nel recinto, con alcuni episodi di imbrattamento con scritte del tipo “No Tav” e “Basta devastazioni”. Dopo quei fatti la procura torinese ha indagato una quindicina di ragazzi minorenni e una trentina di maggiorenni, trai quali la studentessa e un’altra ricercatrice.
L’avvocato Valentina Colletta ha chiesto il rito abbreviato, convinta di poterle fare uscire dal processo immediatamente. Infatti per dimostrare che la studentessa veneziana era lì per motivi di studio, ha presentato non solo la sua tesi di laurea sui movimenti, ma anche un documento dell’università Ca’ Foscari nel quale si dichiara che la tesi prevedeva anche una parte di ricerca sul campo, e che la ragazza era in Val di Susa proprio per quel motivo. Chiaro, lampante, un disguido, la polizia stessa spiega che non hanno fatto nulla. No: il pm Antonio Rinaudo ha sostenuto che la studentessa non si limitò ad osservare da semplice spettatrice. La prova? Nella sua tesi racconta i fatti in prima persona. Era un “concorso morale”.
All’università di Ca’ Foscari all’inizio credevano fosse uno scherzo. Poi, quando hanno capito che invece era un incubo, hanno mandato altri documenti, spiegazioni, ricerche. «L’uso del noi nella tesi rappresentava una scelta stilistica», spiega l’avvocato Colletta, «quindi è assurdo che la ragazza sia stata condannata sulla base di questa osservazione. Anche perché i filmati dimostrano che entrambe le ricercatrici hanno sempre avuto un atteggiamento defilato rispetto alla manifestazione».
Da notare una cosa ancora: per aver scritto la sua tesi in prima persona plurale, per questo “concorso morale”, il pubblico ministero ha chiesto nove anni. 108 mesi di galera per una ragazza che non ha spostato nemmeno un volantino e che ha descritto un fatto in uno studio per la sua università. Viene da chiedersi cosa meriti chi, vicino alla Valle, ha avvelenato migliaia di persone con l’amianto per fare profitto personale. Sarebbe bello scoprire, in base alla logicità del diritto cosa prevede il nostro codice per un caso come l’Eternit. La fucilazione alla schiena? Lo squartamento? La spedizione su un pianeta sconosciuto abitato da cannibali?
108 mesi per una tesi di laurea sgradita. La corte avrebbe potuto obiettare. La corte ha comunque condannato. A due mesi, con la condizionale, ma ha condannato. Tutti sono avvertiti.