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Viaggio nel cuore di Manhattan. La sfida Trump-Clinton e i newyorkesi

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New York, a giugno, è davvero lo splendore dei suoi grattacieli che abbracciano il cielo terso, il verde splendido di Central Park e la gente che beve per strada strani frullati, o forse caffè americano, e mangia mele verdi e rosse mentre nella subway più strana del mondo legge un libro e percorre  binari che portano nel cuore di una città unica. Esco dalla metro con chi guarda per me attraverso una fotocamera gli angoli più belli di questa metropoli e ci ritroviamo a Ground Zero, ed il fiato manca, in un attimo, ed uno strano vento ti attraversa i capelli davanti ai due quadrati circondati di lapidi e nomi. Tutti i nomi di chi quell’11 settembre  è precipitato nel vuoto, come le gocce d’acqua che da due cascate scendono giù nei buchi  che restano di tutto quel gran soffrire che fu vissuto da chi guardava dalla stessa strada in cui noi camminiamo.

E la gente accarezza in rispettoso silenzio quei nomi incisi, e lascia piccoli fiori, e noi due li a scrivere e fotografare le emozioni che attraversano  con noi le strade.

DSC_0173Ma New York è anche Manhattan , e ci imbattiamo nella Trump Tower nel pieno di una contestazione contro Trump in the name of Public Space .  Un gruppo di liberi cittadini fanno irruzione nell’edificio. Sono in slip e hanno il corpo dipinto con scritte che inneggiano a libertà,  e chiedono agli addetti alla sicurezza e alla polizia intervenuta per sedare gli animi,  di poter manifestare liberamente contro lo strapotere dei privati. Avviciniamo la gente, chiediamo perché senza abiti gira per le strade e chiede libertà, essendo New York quella grande mela che per molti è la libertà.  E la gente parla dimostrando una certa preferenza per Hillary, l’ex first Lady che comunque piace di più dello showman Trump, visto come l’uomo dei soldi, delle risorse economiche , che chiama i Vip a raccolta,  ma che non sembra incontrare il favore di chi a  Manhattan vorrebbe lei, Hillary. Il perché? Ci dicono sia una donna che si  è dimostrata interessata ai problemi del sociale, che è amata dai giovani e dalle mamme e anche papà con passeggini hanno risposto così, mostrando apprezzamento per il lavoro di questa donna nel tempo in cui ha ricoperto ruoli governativi. Insomma la gente per strada ha scelto lei, preferendola per la concretezza e per i toni più pacati, senza i fuochi d’artificio di Trump, nome che si legge ovunque a Manhattan.

Non è tanta distanza  tra la Fifth Avenue e Times Square tra i  festeggiamenti per i   trionfi nelle primarie dello stato di New York.  Trump  ha aperto  le porte della Trump Tower alla stampa e ai personaggi importanti.  La  vittoria di Hillary  Clinton è stata più sofferta, e lei stessa ha  dichiarato  che   Nessuno in America deve vivere con lo spettro della discriminazione e della deportazione. Bisogna aiutare le persone e aiutarci l’un l’altro, gay, musulmani, uomini e donne, aggiungendo che   Non c’è nessun posto come casa propria e ringrazia New York.

New York è davvero una gran bella casa per chi può viverci, la grande mela in cui tutti possono trovare una possibilità, quel luogo in cui nessuno può aver voglia di tornare in un’altra casa,  affascinato e rapito dai grattacieli che si susseguono, dalle colazioni più strane e dalle abitudini più diverse da chi in Italia a prima mattina non può per costituzione bere più d’un caffe’ e mangiare più di  un cornetto al bar, ma senza dover sentire odore di uova strapazzate, salsicce fritte e strane insalatone. Eppure  a New York, sulla 51esima strada ad angolo della Lexington Avenue, mentre decine di taxi gialli sfrecciano veloci e la gente alza la mano e ferma il primo che passa, una colazione così sembra la cosa più naturale del mondo, e la più buona, perché sa di quella libertà che in una statua lontana sembra rappresentata e pure  più vicina.

Ma sarà così? New York da turisti è magica nel tempo che dura un piccolo viaggio, ma nella vita vera, sarà poi la libertà che la gente chiede anche a chi andrà a governare? E’  tanto grande questa città che a scriverne qualcosa sembra come se non ne scrivi abbastanza. E resta la speranza che una donna ha detto con la propria figlia in mano…Vorrei solo un lavoro, ed un po’ di spazio per sperare. Poi a noi basta una mela ed un sorso d’acqua e un libro in un pomeriggio come questo a Central Park, perché io a New York ci voglio vivere e morire.

E andiamo via, mentre dalla navetta che ci porta in aereoporto  si intravede la pace di un cimitero e la dignità pulita delle sue lapidi, semplici, in un prato verde. Si, anche morire deve essere diverso pensando di essere sepolti in un posto così, che sa di pace e di serenità.
New York, see you soon.

(foto di Vincenzo Aiello)


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