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Non rivela le fonti, giornalista a giudizio

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Per adesso la Procura di Trapani ha avuto ragione. Ha chiesto il rinvio a giudizio “per false dichiarazioni al pm” del giovane giornalista trapanese Marco Bova, collaboratore del quotidiano “Il Fatto”. E lo ha ottenuto oggi dal gup Emanuele Cersosino. Bova dovrà comparire dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Trapani il prossimo 15 dicembre. Non ha reso dichiarazioni false al pm ma semmai si è trincerato dietro al segreto professionale quando gli è stato chiesto, sentito nella fase delle sommarie informazioni, sulla fonte che gli aveva dato la notizia oggetto del suo articolo – “Sicilia, negli armadi dell’ex senatore Papania (Pd) i verbali della sua inchiesta” – sul quotidiano on line “Fatto.it”. Il reato così denominato, “false dichiarazioni al pm” comprende anche la fattispecie di risposte reticenti o nulle. Bova non ha detto il falso, non risposto e quindi per il pm si tratta di una ipotesi tra la reticenza e la nullità. Oggi durante l’udienza preliminare i difensori di Bova, avvocati Viviana Cialona e Nino Caleca chiedendo il proscioglimento del giornalista hanno prodotto una memoria dell’imputato, nella quale si sostiene la perfetta legittimità del loro assistito ad avvalersi del segreto professionale, ma il gup ha scelto la strada del rinvio a giudizio, per il pm poi Bova essendo giornalista pubblicista non può avvalersi del segreto professionale e il gup ha voluto aderire a questa posizione. Nella memoria invece si è sostenuto quello che in altre sedi giudiziarie la circostanza ha trovato accoglimento e cioè che anche il giornalista pubblicista può avvalersi del segreto professionale.

Nella memoria sono citate anche pronunce in tal senso della Corte Europea dei diritti dell’uomo: “…occorrerà precisare come la tutela del segreto professionale del giornalista sia di rango convenzionale, segnatamente l’art. 10 primo comma della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ed attribuisce ad ogni persona il diritto di libertà di espressione e di opinione nonché “la libertà di ricevere e comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche”. Nell’approccio ermeneutico a tale disposizione, infatti, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha esteso la tutela della libertà di stampa anche agli atti preparatori alla pubblicazione – quali per esempio le attività di ricerca e di indagine realizzate dai giornalisti di talché la riservatezza delle fonti non può che rappresentarne un corollario – statuendo come “l’assenza di tale protezione potrebbe dissuadere le fonti giornalistiche dall’aiutare la stampa ad informare il pubblico su questioni di interesse generale…E’ di tutta evidenza come, sotto questo profilo, la dicitura letterale dell’art. 10 della Convenzione così come la giurisprudenza europea non fanno riferimento espresso alla categoria del giornalista professionista bensì a quella del “giornalista”, onnicomprensivamente intesa, senza individuare distinzione alcuna tra professionisti e pubblicisti”. 

I difensori hanno inoltre evidenziato che la legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti non segna confini e differenze tra l’attività pubblicistica e quella professionale, “peraltro – hanno sottolineato – ci troviamo in presenza di un giornalista che per quanto pubblicista svolge esclusivamente questa professione” e quindi se è vero che il segreto professionale può essere, secondo una lettura legata solo alla norma italiana, vantato dal giornalista professionista, sia pure non iscritto nell’elenco dei professionisti, Bova svolgendo da pubblicista esclusivamente questa professione di fatto può reclamare il segreto professionale: “…si ritiene, pertanto, estendibile al Bova l’esimente del segreto professionale perché previsto dalla Cedu – in quanto tale e così come interpretata dalla giurisprudenza di Strasburgo – e, a più forte ragione, se si considera che in base ai canoni della normativa dianzi indicata questi risulti incontrovertibilmente, di fatto, un giornalista professionista”. 

La richiesta di proscioglimento però non è stata accolta e così ancora una volta un giornalista (pubblicista) che ha obbedito al diritto dovere di dare una notizia al lettore si ritrova a rispondere dinanzi al giudice di un reato, quello di non aver tenuto per se la notizia appresa , in questo caso quella del ritrovamento di atti giudiziari in un armadio dell’ex senatore Pd Nino Papania, atti che pare Papania non avrebbe potuto avere in via ufficiale. pare perché su questa circostanza c’è ancora una indagine in corso. Intanto però sotto processo finirà il giornalista Marco Bova per avere adempiuto ad una delle regole, di quelle non scritte, ma esistenti, di questa professione e che un giornalista che si chiamava Walter Tobagi ebbe il tempo di ricordare poco prima di essere ucciso: “quando un giornalista ha una notizia fondata, rilevante e quindi di interesse della pubblica opinione, la deve scrivere, in questo senso renderà un servizio”.


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