Marina militare a lavoro per riattivare il poligono di tiro
Sembra la scena di una frontiera post-umana, un luogo e un tempo fermi alla desolazione. Cemento, filo spinato, bunker, rifiuti edili, resti di un campeggio per sottufficiali abbandonato sulla riva. A cento metri, un poligono di tiro dismesso e, al di là della recinzione divelta, munizioni esplose e lasciate tra gli scogli affacciati sul golfo Xifonio.
È un tratto di costa occupato dalla Marina militare italiana – assolutamente off limits per i comuni mortali, nonostante gli accessi privati dalle villette del promontorio – che si estende per diversi chilometri tra le contrade Punta Izzo e Carrubbazza, fin oltre Punta Sant’Elia, quasi al confine con la scogliera del faro Santa Croce, in contrada Sant’Elena. Una vecchia trincea bellica nutrita dalle discariche abusive, nel grigiore delle costruzioni distrutte, tra lettini in plastica ammassati, vetri, lamiere e tubi arrugginiti. Senza soluzione di continuità con i chilometri di lungomare contaminato dalle fogne a cielo aperto, e i tre stabilimenti elioterapici (ma di fatto aperti alla balneazione) ad uso ludico ed esclusivo di militari e dipendenti dell’arsenale marittimo.
Qui Augusta finisce. O meglio ricomincia a blindarsi, a fare i conti con i propri muri. Perché la città e il suo mare, arrivati da queste parti, si chiudono nuovamente. Proprio come sull’altra sponda, dove campeggiano le artiglierie dell’esercito petrolchimico: quell’altra potente trincea che, dal dopoguerra, continua a sparare veleni sui corpi e sulle coscienze di una popolazione assuefatta.
Eppure, superati i lidi dei pochi privilegiati, sulla strada non s’incontra solo l’archeologia militare di uno spazio negato alla società civile, ma anche caverne preistoriche sfregiate per far posto alla macchina bellica della seconda guerra mondiale. Ben presto, in quella costa interdetta alla libera fruizione, si tornerà a sparare. Lo ha deciso, da qualche mese, l’ammiraglio di Marisicilia Nicola De Felice, che intende riattivare il poligono di tiro rimasto fuori uso dai primi anni ‘90. Entro l’autunno, rivelano fonti interne all’ambiente militare, lo stabile dovrà essere rimesso in sesto.
A volerne la riapertura è soprattutto il personale in divisa del comprensorio, stanco di dover sborsare trenta euro a sessione per esercitarsi con le armi da fuoco presso le strutture catanesi. E così, in tutta fretta, sono già a lavoro le pale meccaniche intente a sradicare, giorno dopo giorno, piante e alberi che avevano ripreso possesso dell’edificio.
Un intervento che rimetterà in funzione un vero e proprio campo di addestramento militare, e che avviene nel più completo silenzio delle autorità civili. Ma soprattutto, cosa ben più grave, all’insaputa della cittadinanza, nonostante si tratti di un’opera che comporterà un considerevole inasprimento della militarizzazione del territorio, nonché un’interdizione perpetua della navigazione nelle acque marine limitrofe.
Per non dire dei pericoli per l’incolumità pubblica, e delle pesanti ricadute in termini d’impatto ambientale su un’area già ampiamente devastata e mai bonificata. Una zona costiera che andrebbe, piuttosto, smilitarizzata, restituita alla città e vincolata a riserva naturale protetta. Per porla al riparo dalle speculazioni, e mettere fine alle servitù militari che ne oscurano la bellezza.