“Abbiamo identificato l’area maggiormente contaminata dai PFAS. Ora stiamo elaborando un piano di presa in carico della popolazione. Chiameremo tutti i soggetti che consideriamo esposti a queste sostanze, circa novantamila persone, per offrire loro la possibilità di sottoporsi a esami che ci possono indicare eventuali problemi causati dai PFAS. I comuni maggiormente esposti a questa sostanza sono 21, sui 71 individuati, soprattutto nella provincia di Verona e Vicenza”. A pronunciare queste parole é la Dott.ssa Francesca Russo, dirigente medico presso il servizio promozione d’igiene e sanità pubblica per la Regione Veneto, durante un convegno tenutosi a Padova presso il dipartimento di Scienze Chimiche.
Quasi milletrecento morti in trent’anni in un’area che comprende ventiquattro comuni divisi in tre province del Veneto.
La causa è la contaminazione da Pfas del bacino di Agno e Fratta Gorzone nella provincia di Vicenza. I PFAS (perfluorosulfonati) sono composti chimici utilizzati in materiali resistenti ai grassi e all’acqua: pelli e tessuti (Goretex), rivestimenti di carta e cartone per alimenti, fondi antiaderenti e contenitori alimentari (Teflon).
Nel 2013, uno studio del CNR sulla presenza dei PFAS in molte aree di Italia riscontrò tra Padova, Vicenza e Verona concentrazioni fino a 2000 ng/litro, anche nelle acque potabili. Contemporaneamente, si riscontrava l’aumento di alcune patologie: infarto del miocardio, linfomi, morbo di Parkinson, l’Alzheimer, malattie dell’apparato genito-urinario, tumore al fegato, alla mammella e alle ovaie. L’ARPA effettua quindi una campagna di monitoraggio delle acque: scopre che dallo scarico di una azienda, la Miteni, sono fuoriusciti per vent’anni circa notevoli quantità di perfluoroalchilati e “gli impianti di depurazione non sono in grado di abbattere questo tipo di sostanze”. La Regione Veneto ha imposto l’uso di appositi filtri e richiesto aiuto al governo per provvedere alle spese che bisogna affrontare per mettere in sicurezza l’acquedotto. Servono circa cento milioni di euro l’anno. Il procedimento di sintesi degli PFAS fu brevettato nel 1938 dalla multinazionale DuPont, accusata negli Usa di aver sversato nel fiume Ohio grandi quantità di sostanze perfluoroalchiliche. L’EPA (Stati Uniti) ha iniziato a bandire i PFAS già nel 2000. Nel 2006, il Parlamento europeo ha fissato a 0,0005% la concentrazione massima di PFAS nei materiali, mentre si discute sul loro inserimento nella lista stilata dalla Convenzione di Stoccolma, in cui sono riportati i composti più pericolosi per la salute dell’uomo.
Nei 79 comuni interessati dall’inquinamento, la concentrazione media di PFAS nel sangue della popolazione é compresa tra 14 e 70 ng/g. Il problema è che per i PFAS non esistono ancora normative, né a livello europeo né nazionale, che fissino i limiti di concentrazione nelle acque. Dal luglio 2013, negli uffici della procura di Vicenza giacciono le carte di un’indagine sui reati di adulterazione e contraffazione delle acque.
Sotto accusa l’unica azienda che produce PFAS in Italia: la Miteni. Lo stabilimento nato nel 1964 come centro ricerche dell’azienda tessile Marzotto, passò nel 1988 alla Miteni, joint venture tra Eni e Mitsubishi. Dal 2009 è di proprietà della multinazionale tedesca Weylchem del gruppo International Chemical Investors. Il nome “Rimar Chimica” (Ricerche Marzotto) si legge in un documento della Camera dei deputati del 14 luglio ’88: sulla motonave tedesca Line, diretta a Port Koko in Nigeria, viaggiavano “peci fluorurate”, scarti di produzione della lavorazione dei PFAS. L’azienda compare anche nel carico della nave Zanoobia, rientrata a Genova nel 1988 da Port Koko con un carico di veleni di cui si è persa poi ogni traccia. Le inchieste sulle “Navi dei veleni” raccontano un passato scomodo per il gruppo tessile Marzotto che vanta partnership con Leo Ferrè e Valentino.
IRSA conduce le analisi delle acque superficiali dove confluisco le acque di scarico dei depuratori tra cui quelle del depuratore di Trissino dove scarica la Miteni (che è operativa dal 1964 con vari cambi societari), quindi si analizzano le acque potabili dei comuni a valle e si trovano valori elevati di PFAS.
C8 Health Project (C8HP) é una class action nata in Virginia dove la popolazione obbliga la fabbrica Dupont ad effettuare delle indagini per lo studio dei composti fluorurati degli ottani. L’indagine ha coinvolto 69.000 soggetti e ha potuto verificare l’esistenza di numerosi effetti negativi dell’ingestione dei PFAS con l’acqua potabile. Essi sono dovuti alle proprietà cancerogene e all’azione di interferenti endocrini che questi composti mostrano. Quindi ISS (istituto superiore di sanità) dice: “si ritiene che i risultati dell’attività valutativa effettuata dal panel di esperti del progetto salute C8 offrano nuovi rilevanti elementi di evidenza che l’esposizione umana alle sostanze perfluoroalchiliche attraverso le acque potabili possa comportare l’aumento del rischio per un ampio spettro di esiti sanitari..”.