Alla fine il Senato ha deciso di stralciare qualsiasi riferimento alla diffamazione, articolo 595 del codice penale, dal testo, per altro meritorio e civile, dedicato alla tutela degli amministratori e dei giudici minacciati da mafie, camorre e n’drangheta.
La legge é stata fortemente sollecitata da associazioni quali Avviso Pubblico e Libera, da sempre impegnate sul terreno della tutela della legalità e della civile convivenza e prevede l’inasprimento delle pene per chi tenta di condizionare e di minacciare quanti si battono per la salvaguardia del bene pubblico e dell’interesse generale.
Un provvedimento civile che merita tutto il sostegno anche da parte del mondo dell’informazione che, per altro, deve registrare decine di cronisti costretti a vivere “sotto scorta” perché nel mirino dei corrotti e dei loro protettori.
Questa alleanza ha rischiato di essere incrinata dalla primitiva decisione della Commissione giustizia del Senato di inserire in questa legge anche l’inasprimento delle sanzioni per il reato di diffamazione, prevedendo un aumento del periodo di carcerazione; peccato che, nella stessa commissione, sia ferma da oltre un anno un’altra legge, giunta alla quarta lettura, che invece prevede l’abrogazione del carcere per questo tipo di reato.
La richiesta di abolire il carcere è arrivata dalle istituzioni europee e il mancato recepimento di questa indicazione è una delle cause della retrocessione dell’Italia nelle graduatorie internazionali sulla libertà di informazione.
L’eventuale approvazione della norma annunciata avrebbe provocato un cortocircuito alimentando una nuova stagione di tensioni tra politica e informazione.
La scelta di ritirare la proposta, annunciata dal relatore, il senatore Cucca del Pd, non può che essere salutata positivamente, anche perché è il frutto di una civile mobilitazione che ha coinvolto non solo la Fnsi, ma tutte le associazioni piú sensibili a questi temi da Articolo 21 a Pressing NoBavaglio, da Ossigeno a LiberaInformazione, per citarne solo alcune.
Questo parziale successo deve ora indurci a fare un passo in avanti e a chiedere la rapida approvazione non solo della nuova legge sull’editoria, ma anche il voto finale sulla legge relativa alla diffamazione, opportunamente modificata.
Non si tratta infatti solo di abrogare il carcere, ma anche di impedire che il querelato sia costretto ad inseguire il querelante per tutti i tribunali italiani, con relative spese e in molti casi persino con la sostanziale rinuncia al diritto alla difesa.
Per le stesse ragioni sarà il caso di prevedere una norma che ponga un’argine alle cosiddette ” querele temerarie”, diventate la nuova arma per ostacolare il diritto di cronaca e minacciare i giornalisti e gli editori più impegnati sul terreno delle inchieste, sulle tante ” Terre di mezzo” che inquinano e condizionano la nostra vita quotidiana e lo stesso ordinamento democratico.
Il mezzo passo in avanti di oggi dovrà essere solo l’inizio di un percorso che è ancora lontano dalla meta finale.
Un grazie, infine, a Blitz, al suo direttore e a tutta la redazione, tra i pochissimi che non hanno mai smesso di ” illuminare” le battaglie di chi tenta di difendere non solo i diritti dei giornalisti, ma anche quelli della pubblica opinione ad essere informata, sempre e comunque.