Ali, la leggenda che ha cambiato il mondo, scrive Repubblica.
Una leggenda con molte spine: il 28 aprile del 1967 gli fu tolta la corona di campione del mondo, gli fu proibito di salire sul ring, e fu messo sotto processo – pena prevista 5 anni di carcere – come nemico dell’America per aver rifiutato la guerra in Vietnam. Il 17 novembre di quell’anno Lyndon Johnson, in una conferenza stampa, assicurava che gli Stati Uniti stavano vincendo in Viet Nam, nonostante “sprovveduti e politicanti” ostacolassero lo sforzo bellico in difesa delle libertà. Due anni prima, il 21 febbraio del 1965, era stato ammazzato Malcom X. Ai suoi funerali, ad Harlem, c’era un popolo immenso: un milione e mezzo di persone. Ma la stampa americana ed europea lo presentò, prima e dopo l’assassinio,come un proto terrorista che si meritava quella fine. Persino Mohammad Ali credette, per un momento, a quella campagna di fango e quando, nell’estate del 1964 Malcom gli si avvicinò in Ghana, non volle dargli la mano. “Avergli voltato le spalle – scrisse in seguito il pugile – fu uno degli errori della mia vita di cui mi sono più pentito. Se potessi, se soltanto potessi tornare indietro nel tempo, gli direi quanto lo ho ammirato, lo abbraccerei come un fratello e gli direi che sono onorato e orgoglioso che lui mi fosse amico”. Erano tempi diversi da quel che oggi si vuole raccontare.
Sindaci, l’ombra dell’astensione, scrive il Corriere. Per la Stampa Maurizio Molinari racconta la rinascita delle città e il nuovo smalto dei sindaci in Europa, da Londra con Sadiq Khan a Parigi con Anne Hidalgo. Non in Italia però. Lucia Annunziata constata la modestia dei candidati e dei programmi e parla di “primarie della nazione”, prove generali di un voto referendario che vuole imporre un trasformismo tutto italiano per rispondere al declino del bipolarismo e alla perdita di autonomia del paese. È un fatto che comuni e regioni contino meno: in due anni – sono dati della Banca d’Italia – le autonomie hanno dovuto tirare la cinghia. Il loro debito è diminuito di 15 miliardi e mezzo mentre quello delle amministrazioni centrali è aumentato di 96 miliardi di euro. “Oggi i sindaci – constata Ilvo Diamanti – hanno perduto risorse e poteri. Non sono più attori (politici) ma esattori. Per conto dello Stato”. Basterebbe questo per capire il senso della riforma costituzionale: il modello è la reductio ad unum, si elegge solo il governo, conta solo il premier della Nazione. Oppio per i popoli.
Fra tre settimane si vota in Spagna. El Pais pubblica l’ultimo sondaggio che vede al primo posto il Partito Popolare, con il 28,5% dei voti, al secondo Unidos-Podemos, a meno di 3 punti, con il 25,6% dei consensi, al terzo i socialisti, 20,2%, quarti Ciudadanos 16,6%. Che cosa vuole Podemos? Lo spiega in un articolo Pablo Iglesias: “La nostra prima sfida è comprendere che potremo governare, in Spagna e in Europa, solo tramite un’alleanza con la socialdemocrazia…ma ci riusciremo solo aprendo un dibattito ideologico e geo strategico, che mostri il fallimento delle politiche di austerità, imposte dalla Germania all’Europa del Sud, e l’errore commesso dai socialisti, accodatisi alla Terza Via, di aver abbandonato le politiche neokeynesiane”. Federalismo, più poteri ai parlamenti nazionali, ma anche più Europa: così – dice Iglesias – si battono le destre e la paura del Brexit. Riuscirà Unidos-Podemos a governare in Spagna e a indicare una strada nuova all’Europa? Non è certo, ma con una sinistra che alza la testa forse è ancora possibile opporsi a un modello europeo poco democratico e molto diseguale. Se la sinistra, invece, si accoda ai Renzi si terrà i Verdini.