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Emirati, dissidenti e giornalisti spiati grazie a software europeo

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Dietro le scintillanti immagini di una città cosmopolita e ultramoderna come Dubai, delle sue architetture avveniristiche, delle estati permanenti da trascorrere su spiagge dalla sabbia dorata, si cela uno stato di polizia. Secondo un’inchiesta del New York Times, nel 2015 gli Emirati arabi uniti hanno speso 634.500 dollari per installare sofisticati spyware made in Europe nei pc di oltre un migliaio di attivisti, dissidenti e giornalisti.
In passato, gli Emirati avevano acquisito software dall’italiana Hacking Team, di cui si è ultimamente parlato per aver trasferito, con autorizzazione del nostro governo, tecnologia per la sorveglianza.

A contribuire all’inchiesta del New York Times è stata proprio una delle persone spiate: Rori Donaghy, giornalista, capo-redattore di Middle East Eye, collaboratore di Guardian, Independent e Huffington Post e uno dei fondatori della prima organizzazione indipendente sui diritti umani del paese, il Centro per i diritti umani degli Emirati. Il Centro fondato da Donaghy, grazie anche alla collaborazione dei pochi giornalisti indipendenti locali, ha contribuito in questi anni a far conoscere l’altra faccia della medaglia del paese.

Attraverso sponsorizzazioni di squadre di calcio, l’organizzazione di eventi sportivi e numerose partnership commerciali, gli Emirati cercano infatti di dare al mondo l’immagine di un paese dinamico, moderno e aperto. Quello che si dice un “brand globale”. Certo, gli Emirati sono – come non mancano di raccontare le agenzie di comunicazione al servizio della famiglia reale – il paese che ha creato il ministero della Felicità e l’ha affidato a una donna, Ohood al-Roumi, nonché quello che per primo ha mandato una donna, Mariam al-Mansouri, a guidare un aereo da guerra per bombardare lo Stato islamico.

Gli Emirati sono però anche il paese che nel 2013 ha arrestato e condannato a 16 mesi di carcere per “relazione extramatrimoniale” una donna norvegese che aveva denunciato di essere stata stuprata. Ne ha passati tre prima di poter tornare in Norvegia, mentre un’altra donna australiana condannata per lo stesso “reato” ne ha dovuti attendere otto. Sono, gli Emirati, anche uno dei molti paesi in cui i dissidenti vengono arrestati, posti in centri segreti di detenzione, torturati e condannati. Grazie, ora lo sappiamo, anche alla sorveglianza di massa.


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