Come la Commissione Giustizia ha messo in letargo una legge semi-approvata che invece abolirebbe le pene detentive ed è attesa da tutta l’Europa
di Alberto Spampinato
Questo articolo è tratto dalla newsletter dell’ European Centre for Press and Media Freedom ECPMF.
Da quattro anni il Parlamento italiano promette di abolire il carcere per i colpevoli di diffamazione, ma non lo fa. Dal 2012 Camera e Senato giocano a ping pong con una proposta di legge che ha lo scopo di mantenere la promessa. Ma non la approvano. L’esame di quel testo è sospeso da oltre un anno e si dice che sia finito su un binario morto. Invece, nei prossimi giorni, il Senato ha in agenda l’approvazione di un’altra proposta di legge che aumenterebbe la pena massima prevista per la diffamazione da sei a nove anni di carcere, facendo esattamente l’opposto di ciò che il Parlamento si è impegnato a fare con l’altro disegno di legge.
Tutto ciò mentre le condanne a pene detentive contro i giornalisti fioccano come la neve d’inverno (negli ultimi cinque anni ne sono state emesse almeno 18 per trenta anni complessivi di detenzione) e le denunce per diffamazione continuano a essere usate con facilità come armi improprie per intimidire i giornalisti.
L’incoerenza parlamentare è massima, sfiora la schizofrenia, per varie ragioni. Il provvedimento che propone l’abolizione del carcere è stato già votato e approvato una volta dal Senato e due volte dalla Camera dei Deputati e ormai attende un altro voto proprio da quel Senato che si prepara a legiferare in senso opposto. L’incoerenza è assoluta perché proprio sul punto in questione sia la Camera sia il Senato, concordemente, hanno già deciso diversamente, proponendo di cancellare proprio la norma sulla quale ora il nuovo disegno di legge fa leva dilatandone enormemente l’applicazione.
Il “privilegio di casta”
Infatti, tre anni in più di detenzione sarebbero applicati a chi è riconosciuto colpevole di una diffamazione compiuta per intimidire, a scopo intimidatorio o ritorsivo,i parlamentari, sindaci, amministratori locali, magistrati: insomma gli esponenti di un “corpo politico, amministrativo o giudiziario”. L’aumento di pena si produce rendendo più severa l’aggravante già prevista dall’articolo 595 del codice penale: il quarto comma, infatti, stabilisce già che la diffamazione portata contro un corpo politico, amministrativo o giudiziario richiede una pena più pesante. Ecco l’assurdità: il disegno di legge, ora fermo in Senato, che intende abolire il carcere per i giornalisti abroga anche questo quarto comma relativo agli esponenti del corpo politico, amministrativo o giudiziario. Ma il nuovo disegno di legge, che attende l’esame dell’assemblea del Senato, reintrodurrebbe la norma. Anzi, ne aggraverebbe la portata.
Il pasticcio è grande e non si sa ancora come uscirne. Non si hanno notizie certe di alcun ravvedimento, neanche adesso che l’allarme è stato lanciato dalle principali organizzazioni dei giornalisti. Allarme subito condiviso dalla Rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media, che ha sottolineato le conseguenze nefaste che la nuova norma avrebbe sulla libertà di espressione e sul giornalismo d’inchiesta. Sulla questione hanno espresso preoccupazione anche la Piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti del Consiglio d’Europa e le principali associazioni internazionali che difendono la libertà di stampa.
La nuova proposta di legge è stata significativamente definita “salva casta” poiché esalterebbe, a favore dei pubblici ufficiali e dei rappresentanti elettivi, l’effetto raggelante che la semplice previsione del carcere per diffamazione ha sulla libertà di espressione.
Il contrasto con gli standard europei
Essa contraddice tutti gli impegni solennemente assunti dal Parlamento e dal Governo per accogliere, sia pure in parte, i ripetuti e insistenti richiami rivolti all’Italia dalle istituzioni internazionali affinché sia depenalizzato questo reato: cioè non soltanto sia abolita la pena del carcere ma la diffamazione sia regolata dal codice civile, come il Parlamento e il governo italiani hanno deciso di fare lo scorso gennaio per il reato di ingiuria e per altri reati.
A dicembre del 2012 l’arresto del giornalista Alessandro Sallusti fu uno scandalo internazionale. Condannato per diffamazione, Sallusti fu messo agli arresti domiciliari. Per scarcerarlo si rese necessario un atto di clemenza del Presidente della Repubblica, come altre volte di fronte a casi analoghi. Il presidente commutò il carcere in una pena pecuniaria. Contestualmente chiese al Parlamento di abolire subito, con una legge, la pena detentiva ed evitare il ripetersi di casi simili. Quella proposta di legge fu presentata, ed è stata ampiamente discussa ma non è stata approvata in via definitiva e forse non lo sarà mai, considerato che questo Parlamento, intende muoversi nella direzione opposta.
Che cosa può accadere adesso? E’ difficile dirlo perché la partita si gioca senza il coinvolgimento dell’opinione pubblica, senza la dovuta attenzione dei media. Probabilmente la votazione sarà rinviata e il Parlamento rinuncerà ad aumentare il carcere per diffamazione.
La reazione delle istituzioni internazionali
Per fortuna le organizzazioni dei giornalisti hanno dato l’allarme e subito l’allarme è stato rilanciato con grande preoccupazione dalla Rappresentante dell’Osce per la libertà dei media e dalle principali istituzioni che sorvegliano il rispetto della libertà di stampa e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo negli Stati membri del Consiglio d’Europa.
Per fortuna il fatto è stato subito segnalato come allarme di livello 2 (il livello più alto è uno) sulla Piattaforma per la protezione del Giornalismo e la sicurezza dei giornalisti del Consiglio d’Europa dalle organizzazioni EFJ (European Federation of Journalists), AEJ (Association of European Journalists), IPI (International Press Institut) e Index on Censorship che, fra l’altro, hanno fatto esplicito riferimento alle notizie di Ossigeno per l’Informazione. Ciò significa che il Consiglio d’Europa chiederà spiegazioni al governo italiano.
E’ strano e preoccupante che nessuno abbia informato i cittadini che il Senato lavorava da un anno su questa proposta di legge. Ma è ancor più preoccupante il fatto che i giornali diano poco peso alla questione. Sono usciti pochi articoli, quasi tutti per minimizzare la portata della nuova proposta di legge.
Non cambia nulla, dicono alcuni
Alcuni esperti hanno spiegato, in tono rassicurante, che esiste un quarto comma dell’articolo 595 del codice penale il quale già prevede un’aggravante che consente di alzare la pena a quel livello (finora nessuno l’aveva fatto notare) e che il Senato vuole soltanto estenderne l’applicazione ad altri soggetti. Questi esperti non hanno detto che tale aggravante è sostanzialmente inapplicata perché, da tempo, la cultura giuridica non accetta prerogative speciali concesse ai corpi politici, amministrativi o giudiziari, considerandole retaggio di vecchi regimi che proteggevano il potere e chi lo esercitava con norme speciali.
Né hanno detto che queste norme sono censurate dalla giurisprudenza europea e che, di conseguenza, correttamente, il disegno di legge presentato nel 2012 per abolire il carcere, quello insabbiato, prevede espressamente l’abolizione di quella norma e questa abolizione è già stata votata e approvata, in prima lettura, sia dalla Camera dei Deputati sia dal Senato della Repubblica e pertanto, in base ai regolamenti parlamentari, non è più modificabile.
Gli esperti non hanno detto che il 9 dicembre 2013 la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa ha applaudito quell’abolizione definendola “benvenuta” poiché “la discussione politica, così come la critica leale e responsabile rivolta a figure pubbliche, in quanto parte del dibattito di interesse pubblico, dovrebbero godere della massima protezione”. Vedi a pag. 46)
Pochi hanno sottolineato la gravità del fatto che la nuova normativa vuole addirittura estendere il privilegio ai singoli componenti di questi corpi politici e amministrativi (sindaci, assessori, magistrati, parlamentari e così via), moltiplicandone enormemente la portata e l’effetto raggelante.
Rimane vivo lo shock per la tardiva scoperta di questo maldestro tentativo di riportare indietro le lancette dell’orologio e di azzerare quattro anni di confronti parlamentari. Questo tentativo conferma che in Italia la considerazione del mondo politico per le violazioni della libertà di espressione e di stampa è ancora molto bassa, che la classe politica e i membri del Parlamento non esitano a ridurre questa libertà per risolvere i loro problemi. Temo che continueranno a farlo finché saranno convinti che queste mosse non fanno perdere voti.
ASP