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Pericolo “gufi” a Milano

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Attenzione e cautela alle amministrative. Milano, soprattutto la metropoli lombarda può diventare uno scivoloso terreno elettorale per Matteo Renzi. Un tempo il Pd e il centrosinistra facevano man bassa nel voto per i sindaci, ma adesso tutto è cambiato. La forza del M5S, le sorprese di un centrodestra diviso ma non finito, i contrasti all’interno del Pd, rischiano di giocare brutti scherzi al giovane presidente del Consiglio. Basso profilo, poche iniziative. Matteo Renzi ha centellinato gli interventi nella campagna elettorale per le elezioni amministrative. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha limitato al minimo discorsi e comizi in favore dei candidati democratici o del centrosinistra. Ha ripetuto più volte: si tratta di elezioni amministrative, non politiche. Ha rimarcato il 20 maggio al Tg1: «Si parla di sindaci, non di chi sta al governo».

Traduzione: il voto non avrà conseguenze per il governo. Non a caso l’ex sindaco di Firenze ha preferito affrontare altri temi. Ha anticipato di mesi la campagna elettorale per il “sì” al referendum confermativo sulla riforma costituzionale previsto ad ottobre, ha insistito molto sulla necessità di far crescere l’occupazione, ha indicato la strada di tagliare ulteriormente le imposte ai cittadini e alle imprese (dopo aver cancellato le tasse sulla prima casa ed aver concesso un bonus di 80 euro al mese ai lavoratori con i redditi più bassi), ha trattato ad oltranza con l’Unione europea sulla “flessibilità” per i conti pubblici italiani, ha chiesto una strategia europea per affrontare la marea di migranti. Ha parlato molto di tutto, mentre ha ridotto all’essenziale proposte e battute sulle elezioni amministrative.

Eppure il 5 giugno le urne sono aperte per eleggere i sindaci di importanti città: Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Trieste, Cagliari. La corsa, al contrario del passato, è tutta in salita per i candidati del Pd. A Napoli, finita l’era di Antonio Bassolino, sono cominciati i dolori. Contro il sindaco uscente Luigi De Magistris, c’è poco da fare. L’ex pubblico ministero, già Italia dei valori, pur se criticato da non pochi elettori napoletani, sembra non avere concorrenti. Dalla poltrona di “sindaco arancione”, riesce nella quasi impossibile impresa di rappresentare anche la protesta politica anti sistema, pur avendo amministrato con mano ferma la metropoli campana.

Anche a Roma la scommessa è difficilissima. Roberto Giachetti, candidato renziano, deve fare i conti con le conseguenze politiche devastanti dell’inchiesta giudiziaria Mafia Capitale, che ha coinvolto sia esponenti del Pd sia del centrodestra. Un terremoto che, tra la varie conseguenze, ha portato il Pd perfino a sfiduciare Ignazio Marino, il suo sindaco, considerato una persona onesta ma inadeguata per affrontare i problemi della città. A Roma sta andando fortissimo, invece, Virginia Raggi, M5S, data in testa da tutti i sondaggi elettorali. Una sconfitta a Roma e a Napoli, dunque, non sarebbe né una un grande sorpresa né un grave problema per Renzi perché le due città, al di là dell’impegno nella battaglia elettorale in corso, nel Pd si danno da tempo per perse.

Tutt’altra questione è Torino e, soprattutto, Milano, due città guidate da due stimati sindaci di centrosinistra, Piero Fassino e Giuliano Pisapia. Una sconfitta nella metropoli lombarda avrebbe pesanti ripercussioni per il presidente del Consiglio e per il governo. Giuliano Pisapia, uomo di sinistra, è l’attuale stimatissimo primo cittadino di Milano che non si è voluto ricandidare. Beppe Sala, candidato renziano sostenuto dal centrosinistra, sembra l’uomo giusto per battere il centrodestra e confermare la tradizione di sviluppo dei sindaci riformisti di Milano, costruita in cento anni di storia dai socialisti meneghini. Sala è in testa nei sondaggi, tallonato però da Stefano Parisi, il candidato del centrodestra.

C’è uno spauracchio, anche se nessuno ne parla. Se il 5 giugno, al primo turno elettorale, dovesse piazzarsi avanti Parisi, sarebbe un duro smacco. Se poi, nel successivo ballottaggio, il candidato del centrodestra, raccogliendo anche i voti del M5S, dovesse sconfiggere Sala, sarebbe un disastro per Renzi. Un disastro perché Sala è un po’ il simbolo renziano dell’”Italia del fare”. Il manager, scelto dal presidente del Consiglio, è stato l’uomo che ha portato al successo l’Expo universale sul cibo a Milano. Un successo non scontato, difficile, costruito tra mille difficoltà politiche, economiche e giudiziarie.

La tensione è alta. In alcuni sondaggi è emerso quasi un testa a testa tra Sala e Parisi. Molto, come al solito, peseranno gli elettori indecisi. A Milano, praticamente, il voto a favore o contro Sala sarà anche un sì o un no a Renzi. E’ un po’ quello che, in maniera più netta, è accaduto per il referendum sulla riforma costituzionale del governo. C’è stata una forte personalizzazione della battaglia e adesso al referendum di ottobre si voterà non solo sulla fine del bicameralismo paritario e il depotenziamento del Senato, ma anche su Renzi e il suo governo. Il presidente del Consiglio, infatti, pur certo della vittoria del sì al referendum ha più volte annunciato: in caso di sconfitta andrà “a casa”.

Il prossimo passaggio più delicato sarà il voto a Milano. Sono in agguato molti “gufi”, come il presidente del Consiglio chiama gli avversari. Il centrodestra, che già governa la Lombardia, a Milano è riuscito a restare compatto, evitando la frammentazione in più pezzi avvenuta in altre città ed ora sta facendo di tutto per sfondare. Forse anche per questo Renzi è andato a Milano a sostenere la candidatura di Sala. Un gruppo di pensionati festanti lo ha attorniato ed ha cominciato a cantare “O mia bella Madunina”, la canzone emblema della città. Il giovane “rottamatore” del Pd sorridendo si è unito al coro.


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