Lungi da noi compiere piaggerie a vantaggio di chicchessia, lungi da noi elogiare acriticamente la RAI e lungi da noi compiere qualsivoglia forma di esaltazione; fatto sta che bisogna dare atto a Rai Fiction di starsi impegnando, con crescente convinzione, su un fronte delicato ed essenziale per il nostro futuro come quello della lotta contro la mafia e l’ingiustizia in generale.
Dopo la bella serie sul dramma dei desaparecidos, il ritratto della coraggiosa imprenditrice Luisa Spagnoli, l’omaggio all’ispettore Mancini, che per primo indagò tra i veleni della Terra dei fuochi, fino a morirne di tumore nel 2014, il bellissimo racconto del sindaco pescatore, Angelo Vassallo, assassinato dalla camorra per aver scelto la strada dell’onestà in una terra nella quale “si era sempre fatto così”, ossia sottostando alle minacce e ai ricatti dei clan, e dopo l’affresco dedicato a Felicia Impastato, ecco che lunedì e martedì scorso è andato in onda su Raiuno un ricordo di Boris Giuliano, poliziotto di grandissimo valore nella Palermo disperata degli anni Sessanta e Settanta.
Una fiction sorprendente per intensità e passione civile, un pugno nello stomaco scandito da omicidi e violenze d’ogni genere ma, più che mai, dall’ombra di quel sottile e maledetto sopruso quotidiano che vedeva gli “uomini d’onore” di fatto alleati con uno Stato assente, complice e connivente, attraverso una politica corrotta, inquinata, squallida, asservita e prona a interessi luridi e devastanti per una regione dal patrimonio culturale e paesaggistico inimitabile.
Palermo sfregiata dalla speculazione edilizia, Palermo affogata nella droga, Palermo come centrale della raffinazione dell’eroina e dei traffici illeciti con gli Stati Uniti, Palermo come luogo in cui i mafiosi potevano girare indisturbati e, anzi, riveriti, Palermo omertosa, silenziosa, fragile, nemica della giustizia e, al tempo stesso, grazie all’azione di alcuni uomini eccezionali, affamata di riscatto, di dignità, di libertà. Una città che grida, che lotta, che non accetta ogni violenza in maniera passiva; una città che reagisce attraverso i cronisti de “L’ora”, su tutti Mauro De Mauro, vittima di un classico caso di lupara bianca, il cui corpo non è stato mai ritrovato; la città del procuratore Scaglione, del giornalista Mario Francese, di Pio La Torre e Cesare Terranova, di Lenin Mancuso, di Rocco Chinnici, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; ma anche, purtroppo, la città di Salvo Lima e del sindaco Ciancimino, della mafia che non esiste e della mafia che invece c’è, si vede e si fa sentire ogni giorno.
Palermo con il suo dolore arreso, Palermo con le sue strade nelle quali non si può mai essere sicuri di nulla, la Palermo in cui venne trasferito, e di fatto mandato a morire, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la Palermo di chi non voleva rassegnarsi all’idea che nulla potesse mai cambiare. Rendere omaggio all’impegno di Boris Giuliano, facendone vedere il sacrificio, il martirio, lo strazio di una coscienza che sa di essere condannata a morte eppure va avanti, è stato dunque un omaggio ai tanti siciliani onesti che in quest’epica della sofferenza ritrovano la forza di alzare la testa, di esporre un lenzuolo, di scrivere, di parlare, di vivere, di sognare e di credere in qualcosa.
Non un santino, non l’eroe buono delle favole, non la narrazione retorica del bene in lotta contro il male, ma il volto tirato di un uomo che sa che non vedrà i figli grandi eppure non si ferma, le telefonate anonime di minaccia, le commemorazioni postume gonfie di ipocrisia, l’incredulità autentica di quanti avevano collaborato con lui e gli avevano voluto bene, la vocazione alla legalità che lo aveva indotto a tornare nella sua terra affinché i suoi figli un giorno non fossero costretti a vergognarsi di essere siciliani, le date battute a macchina e l’angoscia che permea lo svolgersi di una biografia di sangue nella quale non c’è spazio per i buoni sentimenti: di questo abbiamo bisogno per risvegliare troppe coscienze assopite, per svolgere una contronarrazione efficace e per confutare le menzogne di quanti continuano a sostenere che i protagonisti di quelle vicende, i Riina, i Provenzano, i Badalamenti e gli altri, non avessero alcun legame con il mondo della politica e degli affari.
Abbiamo bisogno di queste serie che chiamano le cose con il loro nome, che creano collegamenti, che inducono a riflettere, che suscitano un senso di rabbia e di ribellione e, soprattutto, che fanno sentire meno soli quanti rischiano quotidianamente la vita per combattere contro un fenomeno tuttora diffuso e assolutamente esecrabile.
Abbiamo bisogno di combattere in prima linea sulla trincea di questa Resistenza civica e politica, e storie come quella di Giorgio Boris Giuliano non