Ma chi glielo fa fare? Come si fa ad essere tanto pazzi e forse un po’ “patetici” –come dice, sarcastico, Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia- da candidarsi a sindaco, con il rischio di essere eletto davvero? In un recente appello, firmato da molti sindaci di varie tendenze politiche, si chiede più tutela e “rispetto” per chi governa le città. C’è il rischio, infatti, che scandali piccoli e grandi, tangenti e favori, “spese pazze”, scelte sbagliate o avventate o sviste in buona fede, entrino nel calderone politico e diventino una minestra comunicativa dai sapori forti e forse avvelenati.
I sindaci, anche quelli che tra poco saranno eletti, sono il gradino più basso della “casta” politica. Rispetto a consiglieri regionali e parlamentari incassano solo una “paghetta”, ma hanno sulle loro spalle una responsabilità enorme. Qualsiasi cosa succeda in città, la “colpa” (i meriti raramente sono previsti) è sempre loro, anche quando due ubriachi fanno baruffa di notte fuori da un bar. La crisi economica globale ha tagliato drasticamente le risorse a loro disposizione e il “patto di stabilità” ha impedito di spendere anche i soldi che avevano in cassa. E poi sono in servizio permanente, perché tutti li chiamano e li pretendono a qualsiasi occasione pubblica, anche se vivono in una sostanziale solitudine. Come se non bastasse, devono muoversi dentro una “selva oscura” burocratica, fatta di leggi, leggine, commi e sotto commi, che spaventerebbe chiunque. Al loro fianco, o sopra di loro, sta una “dirigenza” amministrativa che ha sempre più potere, ma è ancora più terrorizzata dall’assumersi eventuali responsabilità.
“Dura lex sed lex”, dicevamo i romani, quando erano ancora severi con sé e con gli altri, ma deve essere davvero un po’ pazzo chi si candida a sindaco. Molti percepiscono la politica come brutta, sporca e cattiva, piena di faccendieri e corrotti, eppure –soprattutto tra chi governa con fatica il territorio- ci sono migliaia di persone che lavorano, come possono, per il bene comune. Il problema è che i sindaci sono “succulenti” dal punto di vista mediatico. E’ dato per scontato che facciano bene il loro difficilissimo lavoro, ma se vengono raggiunti da un avviso di garanzia per “abuso di atti d’ufficio” sono sbattuti allegramente in prima pagina e la varie forze politiche si rinfacciano, l’un l’altra, la rispettiva (spesso solo presunta) “criminalità” dei loro sindaci, da Lodi a Livorno.
Chissà se nella dura e confusa campagna elettorale per il Comune di Roma, dopo il macroscandalo di Mafia Capitale, più di qualche candidato speri in cuor suo di non essere eletto. Il M5S ha avanzato l’ipotesi che ci sia un “complotto” per farli vincere e la sua candidata sindaco, Virginia Raggi, ha già detto che è pronta a dimettersi se glielo chiedesse Beppe Grillo. Alfio Marchini, campione di Polo, con lontane origini familiari di sinistra, indipendente e centrista, ha accettato l’abbraccio di Berlusconi ed ora perde voti nei sondaggi. Giorgia Meloni, già sodale dell’ex sindaco Alemanno, ha appena detto che vorrebbe intitolare una strada a Giorgio Almirante, ex repubblichino e firmatario del Manifesto della Razza nel 1938. Roberto Giacchetti, ex radicale e ora renziano del Pd, si aggira per le periferie, ma pochi ancora lo conoscono o hanno capito che cosa vuole/può fare per Roma. E così sembra che un po’ tutti stiano giocando a “ciapa nò”, perché sanno che, appena eletti, saranno dei “presunti colpevoli”, qualsiasi cosa facciano.
Il problema, naturalmente, non è la Magistratura, che fa il suo lavoro, prescrizione permettendo. Il problema è la “selva oscura” delle norme, che da una parte –paradossalmente- favorisce il malaffare burocratico, mentre dall’altra imbriglia l’azione, spesso basata su buon senso e buona volontà, di chi governa una città. Da decenni tutti promettono più trasparenza e semplificazione, ma noi siamo ancora qui ad aspettare e a sperare.