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“A 24 anni da Capaci la mafia è più viva che mai”. Intervista a Claudio Fava

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Sono passati 24 anni dalla strage di Capaci dove persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e oggi l’Aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo ha aperto le sue porte all’iniziativa «Palermo chiama e l’Italia risponde» con cinquantamila studenti in collegamento da molte piazze italiane per assistere all’evento organizzato dalla Fondazione “Giovanni e Francesca Falcone” insieme alla Direzione Generale per lo Studente del Ministero dell’Istruzione, dell’Università’ e della Ricerca. Iniziativa estesa a tutto il Paese ed otto città italiane in particolare.
Abbiamo intervistato Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

Insieme al ricordo di Falcone e a quello di Borsellino, doveroso al di là delle date, oggi ricorre anche la Giornata della legalità. Molti studenti italiani si sono incontrati nell’Aula bunker di Palermo collegandosi via web con altrettanti studenti sparsi in diverse città italiane proprio per riflettere e confrontarsi. Quello delle mafie è un tema sentito solo in occasione delle ricorrenze?
«È un tema purtroppo attuale, oggi poi ricorrono insieme l’anniversario dei ventiquattro anni dalla strage di Capaci e la Giornata della legalità. Attuale, purtroppo, come dimostra il recente fatto che ha vito coinvolto Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi, da tempo impegnato contro la mafia, scampato ad un agguato e oggi ancora in vita grazie alla sua scorta. Un contrasto audace, il suo, per opporsi a organizzazioni forti e che nel tempo hanno saputo trovare la capacità di adeguarsi anche alle contromisure che lo Stato è riuscito a mettere in campo in tutti questi anni. Attuale è ancora il fenomeno mafioso, perché nel frattempo ha saputo allargare il proprio modo di operare attraverso una più capillare presenza, direi fusione, nei gangli dell’economia e della finanza. Una presenza, quella mafiosa, significativa e ingombrante anche nelle “vene aperte” della politica. Non è tanto il luogo delle commemorazioni quello di cui oggi abbiamo bisogno, quanto quello di considerare seriamente l’attualità, la concretezza e la presenza di questa minaccia, attrezzandosi per contrastarla, dunque parlando meno e facendo di più. A 24 da Capaci la mafia è più viva che mai».

Lei ha ricordato le contromisure messe in campo dallo Stato italiano, che però oggi sono aggirate dalle organizzazioni criminali. Di quali contromisure si tratta?
«In Italia abbiamo una eccellente legge per la confisca dei beni ma le organizzazioni mafiose si sono prontamente date da fare: investendo in beni sempre meno rintracciabili e con un livello di gestione molto alto. Allo Stato dunque non basta confiscare, questi beni devono essere poi gestiti con la massima responsabilità. La nostra Agenzia sui beni confiscati è assolutamente sottodimensionata rispetto alle necessità: abbiamo, ad esempio, un tasso di mortalità delle aziende confiscate che è altissimo. Il rischio è che invece comincino a pagare il prezzo di tutto questo nostro impegno contro le illegalità, le centinaia e migliaia di persone che in questi anni di lavoro svolto nelle aziende confiscate, si ritrovino di fatto senza un impiego e uno stipendio».

Dunque?
«Abbiamo creato una legge che prevede lo scioglimento dei Comuni che subiscono le infiltrazioni mafiose, lo abbiamo fatto proprio per tagliare i legami che spesso creano dipendenze e subalternità nelle amministrazioni comunali e le sinergie con le organizzazioni mafiose, ma poi ci siamo resi conto che, in realtà, queste misure sono come “armi spuntate” perché se un Comune viene sciolto, una, due, tre volte, è evidente che la nostra capacità di intervenire, di bonificare, di restituire la piena funzionalità e la democrazia in quella amministrazione è di fatto fallita. Si può dire che questa legge ha la necessità di essere rivista: non è necessario sciogliere ma bensì accompagnare quel Comune intriso di illegalità mettendolo sotto osservazione assidua e tutela, intervenire su vari livelli all’interno di quelle amministrazioni. Insomma tutte le risposte che lo Stato nel passato aveva predisposto e che sono state molto efficaci, oggi sono probabilmente sono diventate obsolete, superate, perché dall’altra parte chi doveva riorganizzarsi, lo ha fatto».

C’è anche il tema dell’antimafia agli onori della cronaca, perché?
«L’antimafia è un asset importante per la società, un’autoidentificazione di valore per molti ma, purtroppo, come abbiamo visto, anche recentemente, a volte un salvacondotto per costruire carriere, per tenere insieme lobby, per favorire amicizie e affari, tutte attività che non fanno certamente bene alla causa reale. La lotta alla mafia costruita sui comportamenti, sui fatti e sulla certezza dei propri comportamenti è molto diversa da quella costruita solamente sul rumore che alcuni fanno delle proprie parole».

In passato la società civile si è spesa per lottare contro i fenomeni mafiosi, oggi sembra essere più assente. E così?
«La società civile è fatta di donne e uomini che spesso vengono sollecitati sull’onda dell’emotività che, a sua volta, è legata alle cose che accadono. Questo è un tempo in cui il livello di scontro tra le organizzazioni mafiose si è abbassato di “temperatura”, di “rumore”. Si è alzato, invece, il livello di pericolosità. L’attenuarsi di attenzione rispetto al fenomeno è imputabile probabilmente al fatto che, da tempo, non vi sono state più morti eclatanti. In tanti ci siamo convinti, per un certo periodo, che il fenomeno fosse sotto controllo, monitorato; abbiamo sperato di poter pensare il nostro paese come un paese normale, liberato dalle mafie. In realtà non è mai stato così, lo abbiamo visto con i fatti di Nebrodi e quelli in Calabria. Oggi è una data particolare ed è giusto ricordare, tuttavia se ci limitiamo a sommare le date, non focalizziamo con attenzione tutto il lavoro che ancora dev’essere fatto».

Cos’è la mafia oggi?
«Proprio come lo era un tempo, la mafia è un sistema di potere complesso e articolato che si nutre di complicità eccellenti nel mondo dell’economia, della politica, delle amministrazioni ma anche con pezzi della società civile, delle professioni dell’informazione. Una dimensione criminale che un tempo era più disponibile e prendere ordini e che oggi invece crea convenienze e consensi, reciprocità, dunque dipendenza, piuttosto che minacce e violenze. Dunque l’amministratore, il politico, il professionista che sceglie di affiancarsi, avvicinarsi, alle organizzazioni mafiose sa di poterne trarre vantaggi dalla sua scelta: carriera, profitti, benefici e vantaggi. Questa caratteristica, questa evoluzione, rende il fenomeno mafioso più impenetrabile e insidioso di un tempo. Il consenso è un arma di difesa formidabile».

La vostra Commissione è un osservatorio privilegiato?
«A breve uscirà una relazione per fare il punto della situazione attuale. Come dicevo emergerà certamente la grande capacità che la mafia è riuscita a mettere in campo, ossia quella di salire con il vento in poppa, traendone ancora maggior profitto, sull’onda della grave crisi economica, lavorativa e sociale di questi anni. E’ evidente che se centinaia di piccoli imprenditori delle Brianza hanno trovato convenienza nelle connessioni con la ’ndrangheta: liquidità necessarie per investire, denaro per pagare gli stipendi, strumenti per rifornirsi in tempi brevi, è chiaro a tutti quanto si sia creata una situazione perversa. L’imprenditore oggi non è più la parte lesa, vessata, la vittima costretta a pagare, bensì oggi è collusa perché ha interesse ad avere di fianco a sé quelle organizzazioni; il contrasto alle illegalità oggi diventa più fumoso ed estremamente complicato».

Ci sono ancora molte persone che contrastano il fenomeno mafioso, come possiamo aiutarle nella loro lotta?
«Senza esporle, senza esibirle e senza isolarle».

Fonte: Riforma.it


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