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“Attenzione ai falsi editori e contrastare la tendenza al conformismo”. A colloquio con Ferruccio De Bortoli

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Intorno al Corriere della Sera si sta svolgendo una battaglia apparentemente solo imprenditoriale, ma che in realtà è un tassello molto significativo del più ampio problema delle concentrazioni editoriali e dei rischi per la libertà di espressione nel nostro paese, classificato quest’anno al settantesimo posto della valutazione di reporter senza frontiere.
E’ un argomento che riguarda molto da vicino anche la città di Milano, dove si svolge un importante seminario (fra i promotori c’è anche Articolo21) introdotto da una relazione di Ferruccio De Bortoli, uno dei più autorevoli giornalisti italiani, che il Corriere lo ho diretto due volte.

Fusioni tra gruppi editoriali e riduzione del numero di editori di giornali e libri, una sorta di task force di controllo giornalistico alla Rai, centinaia di piccole emittenti costrette a chiudere: è tutta colpa della crisi economica e di internet o c’è dell’altro?
Le fusioni sono una scelta di mercato e, a volte, una condizione cui sottostare per sopravvivere. La ricerca di sinergie tra le varie testate è positiva quando si tratta di ridurre costi di produzione, distribuzione e raccolta pubblicitaria. Negativa quando la preoccupazione è quella di omologare le testate, realizzare maggiori compromessi pubblicitari per non perdere investimenti, ridurre i costi redazionali al solo scopo di avere giornalisti fungibili, adatti a qualsiasi mansione multimediale, e facilmente controllabili. L’esperienza ci dirà in quale direzione stiamo andando. Il vero editore riduce i costi ma investe in qualità dell’informazione, nella digitalizzazione, innova, rischia; il falso editore – che ha interessi maggiori altrove – trasforma le redazioni in scantinati con produzioni a cottimo, piantagioni di sotto impiego giornalistico, confidando negli users generated contents e vendendo i suoi marchi agli investitori pubblicitari.

Il referendum sulle trivellazioni ha segnato una tappa tristemente significativa di mancata informazione più che di disinformazione, una tendenza a omettere che si sta diffondendo nei media, escluso il web, dove ovviamente c’è di tutto. Il prossimo referendum costituzionale, invece, già vede avviarsi una campagna governativa senza precedenti a favore del “si” , impostata  – come dice lo stesso presidente del consiglio –  pro o contro Renzi. Quali sono i rischi di tutto questo?
Ritengo che pensare il referendum sulle trivellazioni sia fallito per mancanza di informazione sia un comodo alibi. Era mal posto e travisato negli scopi dagli stessi organizzatori: votando sì non si sarebbero arrestate le perforazioni. Sul web c’era di tutto ma non di meglio. Una quantità impressionante e patologica di mezze verità è mezze falsità. Perché questo è quello che accade quando non vi è più un’intermediazione professionale. C’è l’illusione del fai da te che crea una tipologia di utenti passivi e facilmente manipolabili e in più convinti di aver capito tutto perché a volte testimoni diretti, o presunti tali, degli avvenimenti. Sudditi non cittadini bene informati e con spirito libero e critico. Mi auguro che, in occasione della prossima campagna referendaria, vi sia più attenzione ai contenuti, sfuggendo alle trappole del conformismo e della propaganda governativa. Rispettando tutti, chi vota sì e chi no. Senza diventare gli utili idioti del potere di turno.

Il giorno in cui tu lasciasti per la prima volta il Corriere, il 29 maggio del 2003, durante il secondo governo Berlusconi, era in corso un’assemblea di Articolo 21 durante la quale Alfredo Pieroni ci diede la notizia letteralmente in lacrime. In tanti credevamo che fosse il momento più difficile per la libertà di informazione nel nostro paese. Ma oggi la situazione è davvero diversa?
Negli anni di Berlusconi vi era una anomala concentrazione di potere mediatico e politico, nel trionfo del conflitto d’interessi, e un tentativo di ridurre al silenzio o emarginare alcune voci libere, peraltro contrastato efficacemente dalla nostra professione. Oggi la situazione è diversa anche se penso che il conflitto d’interessi operi in un certo modo anche con Berlusconi in declino e all’opposizione, persino con un patto del Nazareno ufficialmente decaduto. C’è però una concentrazione anomala di potere renziano, che non avendo di fronte una vera opposizione, tracima anche nell’informazione, trovando pochi ostacoli e molti partigiani.

Guardandosi intorno si ha l’impressione che esista una sorta di congiura del silenzio, tanto più preoccupante perchè avviene in una società di comunicazione permanente, in cui siamo tutti sempre connessi, bombardati di notizie che sembrano però scivolare sulla maggioranza delle persone senza lasciare la minima traccia. Quasi una rassegnazione collettiva, che fino a pochi anni oggettivamente non c’era. Cosa si può fare per ribaltare questa situazione e quali sono le responsabilità dei giornalisti?
Noto una tendenza al conformismo anche tra i nostri colleghi. Se l’alternativa a Renzi è il caos questa non è una buona ragione per abdicare al nostro ruolo e addormentare la coscienza del pubblico, oltre che la nostra. Salire sul carro del vincitore è tentazione irresistibile. Anche tra i nostri colleghi. La crisi dell’editoria, e anche della televisione generalista, la paura che le fusioni inevitabili portino alla falcidia delle redazioni, il passaggio alla multimedialità, generano apprensioni e paure. Mi ha colpito il silenzio di molte redazioni di fronte ad aggregazioni che muteranno, forse fino a stravolgerle, storie e identità editoriali e culturali. Discussioni poche, timori tanti. Giusto dire che c’è una rassegnazione collettiva. Ma se ci arrendiamo al pessimismo saremo ancora più esposti e marginali e meno protagonisti di un passaggio alla multimedialità che deve vederci protagonisti consapevoli, innovativi, aperti all’innovazione e ai rischi che questa comporta.

Cosa ti senti di consigliare ad un giovane che vuole intraprendere oggi la professione giornalistica?
Ho fatto per alcuni mesi, l’anno scorso, il presidente della commissione d’esame del concorso Rai. Abbiamo selezionato cento colleghi di grande valore che mi auguro l’azienda assuma senza altri ritardi, anzi mi stupisco che non l’abbia ancora fatto. Colleghi che in mancanza di editori si sono inventati editori di se stessi, si sono inviati nelle zone calde del mondo, rischiando la vita, senza un giornale e una copertura assicurativa alle spalle. Sono rimasto ammirato dalla loro preparazione e dalla passione per questo mestiere. Non ho consigli da dare. Ho paura solo che li si possa deludere.


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