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Quel che resta del Primo maggio, senza lotta

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Ci sono ricorrenze che trovano riscontro nella realtà, altre, come quella del Primo Maggio, che oggi aprono profonde riflessioni su quanto è rimasto di questa “festività” dedicata ai lavoratori, considerando lo stato occupazionale e contrattuale del Paese.
Per carità, la memoria è importante, come lo è il riconoscimento di quanto è stato fatto dai movimenti sindacali in durissimi anni di lotta e dai traguardi conquistati con sudore e fatica. Anche se – bisogna ammettere – le successive sconfitte che guarda caso hanno scardinato i diritti in un tempo così breve, se condideriamo il tempo trascorso per conquistarli. Basta pensare che nel 1889 fu ufficializzata in Europa dai delegati socialisti della Seconda Internazionale la festività del primo maggio. In Italia la notizia arrivà un anno più tardi attraverso la rivista “La rivendicazione”, esattamente il 25 aprile del 1890 in un articolo che esordiva proprio così: “Il primo maggio è come parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti si interessano al proprio miglioramento” .

Cos’è rimasto di questo concetto, come supponeva un signore con la barba lunga, in un mondo globalizzato dove anche l’essere umano è diventato lui stesso merce per arricchire una società opulenta e avara? Se ci concentriamo sul nostro Paese e andiamo a snocciolare i numeri sull’occupazione le speranze future si infrangono, tant’è che molti decidono di espatriare in cerca di una vita più dignitosa. Ma va detto che i ritardi occupazionali, ovvero la capacità di costruire nuovi posti di lavoro in Italia, è davvero preoccupante.

Oggi, numero più numero meno, circa 22 milioni e 500 mila italiani “festeggeranno” il primo maggio. Festeggiare è già un eufemismo se si considera che tra i 28 paesi europei siamo il solito fanalino di cosa assieme a Grecia e Croazia per aumento occupazionale. Non a caso dall’inizio della crisi economica del 2008 abbiamo perso oltre 600mila posti di lavoro, sono aumentate le fila dei disoccupati, ora sono 3 milioni e il numero dei cosiddetti “inattivi” che hanno raggiunto quota 14 milioni. Insomma non è un risultato su cui andare fieri.

C’è poi da aggiungere che con i nuovi contratti le condizioni di lavoro sono peggiorate praticamente ovunque, mentre continuano a crescere la disoccupazione giovanile e di conseguenza le disparità sociali. Per non parlare delle condizioni di sicurezza nei posti di lavoro. L’ultimo allarme lanciato proprio dall’Inail la dice lunga sull’aumento del 16% di morti sul lavoro nel 2015. E così anche oggi si festeggia, chi va al corteo a gridare a squarciagola il proprio dissenso, chi a fare il picnic – tempo permettendo – a fare chiacchiere con tanto di pecorino e fave, e poi domani tutto tornerà esattamente come prima. Chi a sudarsi per mantenere il posto di lavoro, chi alla ricerca di speranze già svanite, chi a far fagotto alla riconquista di un pezzo di vita. Sì è vero, il mondo sta cambiando, in peggio. Le lotte si sono concluse, gli animi si sono spenti. Anche queste piccole memorie di un tempo dimenticato.


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