Nella Giornata mondiale per i rifugiati è doveroso ricordare e celebrare quanto fatto finora da istituzioni come l’UNHCR per garantire supporto e assistenza alle decine di migliaia di sfollati che a causa di emergenze umanitarie e conflitti lasciano i propri paesi di origine. Ma è altrettanto importante, se non dovuto, riflettere sulla sorte di quanti rimangono in un limbo, senza etichette, senza status. E non parliamo solo delle centinaia di immigrati richiedenti asilo che vivono una vita clandestina, come i sudanesi (in particolare provenienti dal Darfur) di cui noi di Italians for Darfur siamo portavoce.
In questa ricorrenza vale la pena di ricordare che centinaia di persone muoiono ogni giorno nelle regioni al confine del Sudan in conseguenza alla decisione di Khartoum di interrompere la distribuzioni di aiuti umanitari nella zona, compresi cibo e medicine.
I rapporti quotidiani che ci arrivano dai nostri partner sudanesi nei progetti di cooperazione parlano di una situazione fuori controllo e di decine e decine di migliaia di nuovi sfollati. Dati dell’Onu, secondo cui il numero di persone che hanno abbandonato o stanno lasciando in queste ore le proprie case negli Stati di confine del Blue Nile, del Sud Kordofan e del Darfur da quando l’anno scorso sono ripresi gli scontri tra esercito e ribelli, confermano che siano in esponenziale aumento.
Solo nelle ultime tre settimane circa 35 mila rifugiati provenienti dallo stato sudanese del Nilo Azzurro hanno cercato asilo in Sud Sudan, in fuga dai bombardamenti aerei e dai combattimenti di terra tra le forze armate sudanesi e l’Esercito popolare di liberazione del Sudan – Nord.
Includendo i nuovi arrivati, nel solo Sud Sudan attualmente sono ospitati circa 150 mila rifugiati sudanesi. Di questi oltre 105 mila si trovano nello stato del Nilo Alto, mentre altri 47 mila si trovano in insediamenti più a ovest, nello stato di Unity.
Il gran numero di nuovi arrivi sta accrescendo la pressione sulla già difficile situazione umanitaria in questa regione del Sud Sudan. Le organizzazioni umanitarie, compresa UNHCR stanno cercando di sopperire alle conseguenze del sovraffollamento nei campi fornendo una quantità di acqua potabile sufficiente per tutti i rifugiati e attuando un’azione continua per prevenire malattie di facile diffusione in questi contesti. Inoltre sulla base di informazioni riferite dagli stessi rifugiati, almeno altri 15.000 nuovi arrivati potrebbero riversarsi nell’Upper Nile in breve tempo.
A fronte di questa situazione di crescente disagio si registrano migrazioni verso altri paesi africani, in particolare Libia ed Egitto.
Ed è qui che si perde traccia di un gran numero di sudanesi di cui, come riferito dalle comunità darfuriane e sud sudanesi in Italia, le famiglie non hanno più notizie.
L’inasprimento dei controlli e dei respingimenti alle frontiere egiziana, tunisina e soprattutto libica – come via di fuga dal Corno d’Africa verso l’Europa in seguito alle rivoluzioni arabe – ha moltiplicato il numero di profughi che scelgono le piste del Sinai per arrivare in Occidente attraverso Israele: partendo dal Sudan percorrendo la valle del Nilo, poi l’Egitto e finiscono nel deserto, verso la frontiera israeliana. Ed è a questo punto che vengono intercettati e bloccati dai predoni beduini.
Ma oltre alla chiusura delle “vie” più percorse dai profughi verso l’Europa, anche il trattato Italia – Libia, sottoscritto dal governo Berlusconi e confermato dall’esecutivo Monti, ha contribuito molto a peggiorare la situazione. Centinaia di persone sono state consegnate di fatto a veri e propri mercanti di schiavi a causa dei “respingimenti in mare”. Altri, dopo un periodo più o meno lungo di detenzione nelle prigioni-lager libiche, sono stati accompagnati al confine meridionale, in pieno Sahara. A quel punto non resta loro altra scelta che tentare la via del Sinai. Dove di loro si perde traccia.
E’ per ricordare realtà come queste che portiamo avanti la nostra opera di denuncia e di sensibilizzazione, per far sentire la voce degli invisibili, di coloro che di questa giornata sono protagonisti inconsapevoli.
Il nostro appello è che si vada oltre le celebrazioni e, soprattutto, che si dia corso a una politica di accoglienza che non sia complice di tragedie come quelle appena descritte.
*Presidente di Italians for Darfur Onlus