BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Contro censure e bavagli: c’eravamo, ci siamo, ci saremo

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Scrivo alla vigilia del 25 aprile, festa della Liberazione e della rinascita del Paese dopo vent’anni di barbarie fascista, ma scrivo anche a pochi giorni dalla pubblicazione dell’ennesimo rapporto di Reporters Sans Frontières che colloca l’Italia ad un umiliante settantasettesimo posto nella classifica per la libertà d’informazione.
Scrivo perché questi dati, con la perdita di quattro posizioni rispetto all’anno precedente, non possono che far rabbrividire e fremere di sdegno e di vergogna chi ha dedicato la vita alla battaglia per un’informazione libera e di qualità.
Scrivo per schierarmi al fianco dei numerosi colleghi che lavorano in terra di frontiera, denunciando mafie e collusioni fra la peggior politica e le più pericolose organizzazioni criminali; per farli sentire meno soli; per sollecitare, ancora una volta, l’ennesima, una legislazione degna di questo nome sul tema delle querele temerarie, vere e proprie intimidazioni che non servono a fare giustizia per i torti subiti ma a tappare la bocca a chi si azzarda a far luce su questioni che i don Rodrigo della zona vorrebbero che restassero sotto silenzio.

Ma scrivo, e questo è ciò che mi addolora maggiormente, perché dopo il triste ventennio berlusconiano, assai poco sembra essere cambiato.
Scrivo perché mi sorge il dubbio che non abbiamo tutti i torti quegli osservatori maligni, ma spesso ben informati, che avvertono nell’aria una drammatica volontà di regolare una volta per tutte i conti con la magistratura indipendente, la quale risponde unicamente alla legge e lavora, il più delle volte, in condizioni disagiate, e con quella parte, purtroppo sempre più esigua, di giornalisti che non intendono chinare la testa di fronte a nessun potere, rivendicando il loro dovere di informare ma, più che mai, il diritto dei cittadini ad essere informati.
Scrivo perché si ha l’impressione che si stia pericolosamente affermando un desiderio bipartisan di porre fine alla presunta “guerra dei vent’anni” fra politica e giustizia introducendo una forte stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni, la quale, se approvata, andrebbe a ledere per l’appunto il diritto dei cittadini di venire a conoscenza degli eventuali misfatti compiuti da chi li governa.

Ribadiamo per l’ennesima volta che in noi non è presente alcun giustizialismo, che siamo stati, anzi, i primi a proporre un’udienza filtro per stabilire quali intercettazioni pubblicare e quali, invece, omettere e che siamo sempre stati e sempre saremo contrari ad ogni uso scandalistico di uno strumento delicato e del quale comprendiamo perfettamente la potenza distruttiva. Non è nostra intenzione mettere alla berlina nessuno e siamo contrari alle gogne e alle manie forcaiole che pure hanno preso piede in questi anni, come risposta sbagliata, anche se comprensibile, alle smanie censorie che si agitavano nel campo opposto; ciò detto, a nostro giudizio, pur restando garantisti, vale come bussola l’articolo 54 della Costituzione, il quale asserisce che chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche deve adempierle “con disciplina e onore”.
Pertanto, anche se non sei direttamente coinvolto in fatti di mafia, se sei eletto in una qualsiasi assemblea legislativa e sei solito incontrarti con personaggi palesemente implicati in affari illeciti, i cittadini lo devono sapere. Se sei un politico e frequenti abitualmente gli imprenditori che ungono le ruote per ottenere appalti o sghignazzano di fronte alle macerie fumanti dell’Aquila, si deve sapere. Se ricopri un incarico di prestigio e abusi, in qualunque modo, della tua posizione, si deve sapere e devi essere accompagnato alla porta. E non si tratta di eccessi, di esagerazioni o di tendenze manettare: nessuno di noi ha mai chiesto di mettere le manette a nessuno, meno che mai prima della conclusione dell’iter giudiziario, né ci siamo mai permessi di considerare colpevole chicchessia prima della sentenza della Cassazione; al tempo stesso, tuttavia, abbiamo sempre sostenuto che la politica debba arrivare prima delle sentenze, proprio per rivendicare la sua autonomia, per tutelare il suo prestigio e per tornare a costituire un interlocutore autorevole e credibile della magistratura e del mondo dell’informazione.
Nessuno di noi, per dire, ha mai considerato un qualsivoglia soggetto politico colpevole a prescindere: sia che si trattasse di personaggi vicini alla nostra sensibilità sia che fossero implicate in procedimenti giudiziari figure quanto mai distanti dalla nostra visione del mondo.

Nessuno di noi, inoltre, ha mai auspicato i processi mediatici, che anzi abbiamo sempre contrastato, anche quando la cronaca nera e determinate trasmissioni ci marciavano con voluttà, né tanto meno ci siamo mai spesi per l’istituzione di tribunali del popolo o per lo svolgimento di processi di piazza. Lungi da noi, dunque, ogni forma di populismo, di demagogia e di scivolamento verso il giacobinismo. Ben venga, al contrario, il ripristino scrupoloso di quel minimo di moralità pubblica, di etica, di dignità e di rispetto per le istituzioni che negli ultimi vent’anni è venuto meno. Ben venga un’informazione libera, autonoma e di valore che controlli il potere politico senza pregiudizi e non rinunci mai al proprio ruolo di contropotere e allo spirito critico indispensabile per svolgere questa professione. Ben venga una magistratura che parli unicamente attraverso le sentenze, purché esse siano rispettate e la si smetta di delegittimarne il ruolo e l’imprescindibile funzione a tutela della legalità. Ben venga un Paese normale, purché si abbia in mente un clima di normalità e non di normalizzazione, con relativo asservimento del potere giudiziario a quello legislativo ed esecutivo.
Per questo, come siamo stati in piazza contro le leggi bavaglio e vergogna e i tentativi di censura operati per anni dai governi Berlusconi, come non abbiamo mai fatto sconti nemmeno al centrosinistra, così siamo pronti a tornare in piazza anche oggi, in difesa dei nostri ideali e delle nostre ragioni costitutive. E se gli interlocutori amichevoli di ieri dovessero rivelarsi oggi avversari, saremmo ben lieti di chiedere loro conto di questo improvviso cambio di posizione ma non intendiamo modificare la nostra.
Contro censure e bavagli, in difesa della magistratura e della libertà d’informazione: sempre, comunque e dovunque. Perché questo il nostro ruolo, questa è la nostra missione, questa è la nostra ragione di esistere e, alla vigilia del 25 aprile, lasciatemi dire che questi sono i nobili ideali che indussero migliaia e migliaia di giovani a salire sui monti, a rischiare la vita e spesso a perderla, in nome di un’Italia giusta e senza padroni.


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