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“Abusi e manipolazioni nel processo Uva”. Intervista a Luigi Manconi

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“Una sentenza che fa paura”. Per Luigi Manconi, Presidente della Commissione diritti umani e dell’Associazione A buon diritto, la verità sulla morte di Giuseppe Uva, operaio di 43 anni fermato a Varese la notte del 14 giugno 2008, è ancora lontana. Giuseppe moriva dopo sette ore passate prima nella caserma dei Carabinieri di via Saffi, poi nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo dopo un Trattamento sanitario obbligatorio. La sorella Lucia Uva, che otto anni fa quasi non riconobbe il corpo del fratello per i segni che aveva addosso, dice che continuerà a battersi per la verità. Per ora un traguardo difficile da raggiungere visto che il pm Daniela Borgonuovo ha definito le indagini del suo predecessore Agostino Abate piene di “anomalie”. Per Luigi Manconi, da sempre vicino a Lucia, anche la sentenza del 15 aprile scorso però, è a dir poco preoccupante.

Come si è arrivati alla sentenza di primo grado che vede assolti i due carabinieri e i sei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva?
Questo è un processo che è stato fin dall’inizio della vicenda giudiziaria, cioè dal 2008, condizionato in profondità dalla conduzione di una Procura e di un procuratore, Agostino Abate, che hanno commesso una serie impressionante di abusi e di manipolazioni. Posso usare questo linguaggio non solo perché ne sono profondamente convinto, ma anche perché lo stesso Agostino Abate, è stato trasferito da Varese ad altra località.

Per quale motivo è stato trasferito? E in che modo sarebbero state condotte le indagini?
Ha trattenuto per il tempo infinito di ventisette anni, un altro fascicolo: quello relativo alla morte di una giovane donna Ilaria Macchi che era stata uccisa alla fine degli anni Ottanta. Solo recentemente, quando il fascicolo è stato sottratto al pubblico ministero Abate, si è potuta trovare una via per individuare i responsabili. Per sette anni ha trattenuto il fascicolo relativo alla morte di Giuseppe Uva senza fare gli elementari atti che avrebbe dovuto. Dunque siamo in presenza di un procuratore le cui responsabilità sono non soltanto sotto gli occhi di quella parte dell’opinione pubblica che ha seguito la vicenda di Giuseppe Uva ma anche sotto gli occhi della stessa magistratura e degli organi disciplinari che hanno in considerazione ben sette provvedimenti a suo carico.

A suo avviso, quali effetti ha prodotto questo modus operandi?
Tutto il resto è avvenuto di conseguenza: i teste non sono stati tempestivamente ascoltati, le prove non sono state cercate nel momento giusto. Quindi si è arrivati a questo esito davvero sconfortante. In più la sentenza di tre giorni fa rappresenta una terribile anomalia su cui siamo convinti l’Appello farà giustizia.

Il procuratore capo di Varese ha detto che le indagini di Abate contenevano “anomalie”. Lei sostiene che le anomalie siano anche in questa sentenza. Perché?
Non posso non notare che in quella città in questi anni si è manifestata una Procura oscillante tra negligenza grave e enorme superficialità. La sentenza emessa due giorni fa contiene affermazioni che veramente fanno preoccupare. Tra novanta giorni avremo le motivazioni e allora si potrà approfondire. Ma già oggi si può dire che sentire una sentenza nella quale si afferma che è prassi cioè consuetudine diventata ordinaria, abitudine regolare, comportamento abituale il trattamento cui è stato sottoposto Giuseppe Uva, è qualcosa che fa addirittura paura. L’assoluzione dei due carabinieri (per i quali l’iniziale imputazione di fermo illegale era stato trasformato in sequestro di persona) c’è stata perché il fatto non costituirebbe reato, mancherebbe il dolo. Cioè, essi avrebbero agito per necessità o per adempimento del loro dovere nel momento in cui si sa che Giuseppe Uva sarebbe stato identificato come “disturbatore della quiete pubblica”, qualcuno che fa schiamazzi. Il fatto che sia stato trattato in quel modo e sottoposto a un fermo illegale non costituisce reato. E per questo comportamento i carabinieri sono stati assolti. Tutto ciò fa davvero paura.


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