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Mubarak: chi è in coma?

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Non è la fine dell’uomo ad essere attesa, ma quella del “moderato Mubarak”: la nostra odiosa complicità con un regime spietato spacciato per “moderato”.  C’era una barzelletta che si raccontava al Cairo molti anni fa. Parlava di un Mubarak morente che chiamava la moglie, Suzanne, per chiederle a chi lasciare il Paese: “a tuo figlio Gamal”, rispondeva lei…“Ma mi dicono che il popolo non…” , “Lasciali perdere quegli asini maledetti, buoni solo a mangiare fieno!” … Mubarak rifletteva, per poi chiedere ancora: “ma se dovessero…” Ma Suzanne, sicura, lo interrompeva nuovamente:” sentiranno il sapore della frusta, questi maledetti animali da soma, capaci solo a ruminare balle di fieno.” A quel punto il raiss avrebbe chiamato i suoi più stretti collaboratori, sentenziando: “il mio posto lo prenderà il mio primogenito Gamal, al secondogenito lascio invece il monopolio del fieno.”
Più che una barzelletta mi è parsa per anni la fotografia di un sistema, quello che unisce i despoti contro cui è insorto il popolo delle Primavere.
Ora però, ora che Mubarak è davvero nei pressi del suo capolinea, mi rammento di un altro episodio, non di un’altra barzelletta: il faraonico, folle progetto di costruire una seconda valle del Nilo, nel deserto. Doveva raddoppiare le terre coltivabili, ovviamente ha rischiato di eliminarle, sconvolgendo per soprammercato il clima e svuotando le casse del Paese. Quanti miliardi saranno stati rubati prima di abbandonare quella follia?
Questi sono solo due aspetti, poi c’è la tortura, sistematica, brutale, diffusa: l’assassinio, sistematico, brutale: la sopraffazione, sistematica, brutale: per quanti decenni l’abbiamo nascosta? Perché Mubarak era “il moderato”, giusto?
Ecco, l’auspicio è che in queste ore in Egitto sia in coma non tanto l’uomo Mubarak, quanto “il moderato Mubarak”. Le nostre complicità con i generali che si candidano a prolungare l’epoca Mubarak sono già evidenti. Speriamo solo che non arriveremo a chiamarli “moderati”.
Ma dobbiamo sapere che è una speranza esile. Esile come lo spazio che abbiamo riservato a Khaled Said: nel giugno del 2010 la polizia egiziana lo sorprese in un bar di Alessandria: lui non faceva politica, non era “coinvolto”. Ma loro lo volevano interrogare. Quel giovane gli chiese soltanto “perché”: lo sollevarono di peso, lo portarono fuori, per strada, sbattendogli la testa contro una cancellata fino a farlo morire. Irriconoscibile e abbandonato per strada. Khaled Said, vittima del “regime moderato” di Hosni Mubarak.

da Il Mondo di Annibale


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