In primo luogo il referendum del 17 aprile non è pro-Renzi o contro-Renzi. Posto così si nasconde la vera natura del quesito che non può risolvere di per sé la politica energetica, ma può imprimere una tendenza, cioè quella di riconvertire la politica energetica fondata sulle risorse fossili (limitate e destinate a esaurimento entro un tempo storico) in quella sulle risorse rinnovabili. In secondo luogo si va a votare per ogni referendum, sì o no, secondo il proprio convincimento, ma non si rinuncia mai al sacrosanto diritto-dovere del voto, sancito dalla Costituzione Repubblicana del ’48, ma attuato solo nel 1970. L’invito ad astenersi è improprio e ipocrita, ricorda quello di un altro presidente che invitò gli elettori ad andare al mare invece che a votare, e fu sonoramente disatteso.
Personalmente andrò a votare e voterò sì proprio per chiedere con vigore al Governo o alla classe politica di questo paese di puntare sulle risorse rinnovabili non solo per ripulire il pianeta, ma anche per lasciarlo ancora fruibile alle future generazioni. Comprendo benissimo che tra coloro che oggi si schierano per il sì ci sono quelli che pur governando non hanno per nulla intaccato né le multinazionali, né gli accordi con i dittatori di turno dei paesi petroliferi, né fatto nulla per ridurre le emissioni di gas serra. Ma tant’è, la politica intesa come strumento personale di potere, non servizio del bene comune, consente queste ed altra strumentalità. Molti di questi signori sono quegli stessi che sposando in pieno un presunto scontro di civiltà vogliono negare asilo in Europa ai migranti che fuggono dalle aree di guerra e dalla fame generata dallo scontro di potere per il controllo geopolitico delle aree petrolifere camuffato da guerra di religione. La crescita a dismisura delle diseguaglianze nel mondo è sempre generata dal controllo delle risorse di ristretti gruppi multinazionali favoriti da un neoliberismo senza democrazia.
Il Governo ha lo spazio per cogliere, al di là del voto dell’esito del referendum, l’occasione per cambiare politica energetica, non rinnovare le concessioni che andranno a scadere, impedire che entro le 12 miglia le coste italiane corrano il rischio, non teorico, del degrado ambientale.
È possibile una nuova politica ambientale e industriale, fondata sulla valorizzazione delle risorse naturali e culturali e la capacità di trasformazione ecocompatibile dell’industria italiana.
Astenersi dal voto significa avere paura del suo esito qualunque esso sia. Che l’invito venga dal Presidente del Consiglio, che del voto diretto con le primarie ha fatto una sua cifra distintiva democratica, ci fa capire come molto spesso l’appello al popolo, per cercarne il consenso, ha poco a che fare con la vera democrazia – governo del demos – e più col populismo demagogico.
Sembra più un implicito auspicio per un partito degli “Apoti” di prezzoliniana memoria, di “quelli che non la bevono”, degli indifferenti e furbi. L’augurio più sincero è quello di ritirare l’invito all’astensione e favorire l’esercizio democratico del voto e accettarne, comunque, l’esito.