Il tempo corre velocemente per Matteo Renzi. Appena due anni fa, nel maggio del 2014, era sulla cresta dell’onda trionfando nelle elezioni europee con il 40,8% dei voti. Da mesi, invece, perde quota e consensi. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd è attaccato dalle opposizioni, dai sindacati, dalle minoranze del suo partito. E’ criticato dai magistrati e in Europa. Il renzismo si sta logorando, non è più il magnete della politica italiana di una volta quando assorbiva parlamentari usciti da Sel, da Scelta Civica e ammaliava i dissidenti del M5S.
Adesso tira una brutta aria di tempesta per il governo Renzi. Federica Guidi è stata costretta a dimettersi da ministra dello Sviluppo economico; Maria Elena Boschi, ministra per i Rapporti con il Parlamento e delle Riforme, è stata interrogata dai magistrati negli uffici della presidenza del Consiglio. Sia la prima sia la seconda sono ritenute “persone informate dei fatti” dai magistrati che indagano sul caso petroli in Basilicata.
È un terribile colpo non solo al governo, ma allo stesso Renzi. È una lesione alla sua immagine. Rischia di sfumare la sua carica innovativa, quella della sua “nuova politica” corretta ed efficiente, contro la “vecchia politica” dell’immobilismo e degli affari. Incombe l’omologazione, uno spettro ricacciato dal presidente del Consiglio e segretario del Pd. Presiedendo la direzione democratica ha scandito: «Noi non siamo come gli altri. Se qualcuno ruba si proceda e si metta in galera». Ha insistito: «Noi non siamo uguali gli altri: sia stampato in testa a chiunque abbia dubbi». Anzi, rivendicando la bontà delle scelte, ha avocato su di sé ogni responsabilità politica per la realizzazione degli impianti petroliferi in Basilicata: «Se è reato sbloccare le opere, io sono quello che sta commettendo un reato».
Rischia di essere messo in discussione l’intero renzismo: le riforme strutturali del governo, “la rivoluzione pacifica” per restituire competitività all’economia e per modernizzare le istituzioni pubbliche. Rischia di andare sotto accusa la stessa filosofia, l’anima del governo Renzi nato nel febbraio 2014, poco più di due anni fa, per portare l’Italia fuori dalla “palude” che per vent’anni ha bloccato ogni riforma. Di qui la reazione di Renzi.
Il presidente del Consiglio e segretario del Pd difende ed esalta le riforme strutturali del governo per far ripartire l’Italia: Jobs act, “Buona scuola”, meno tasse (bonus di 80 euro al mese e niente imposte sulla prima casa), nuova legge elettorale per le politiche, revisione delle norme costituzionali. Le opposizioni e le minoranze di sinistra del Pd bocciano tutto come “propaganda” e “promesse mancate”. Agitano anche l’ipotesi di disastro ambientale posta dai magistrati per lo scorretto smaltimento dei rifiuti petroliferi in Basilicata.
Giustizia, familismo, politica rischiano di diventare una miscela micidiale. La vicenda petroli, dopo il caso Banca Etruria, ha fatto di nuovo irrompere la giustizia nel campo di battaglia della politica italiana. Nello scontro sono state coinvolte la Guidi con il suo compagno imprenditore in campo petrolifero e Maria Elena Boschi, figlia dell’ex vice presidente della collassata banca toscana. Le opposizioni hanno denunciato il conflitto d’interessi familiare; Renzi, invece, ha rivendicato la correttezza delle scelte del governo fatte nell’interesse generale.
Il primo ostacolo da superare per il giovane ex sindaco di Firenze sono le mozioni di sfiducia presentate dalle opposizioni in Parlamento contro il governo. Poi seguiranno altri tre appuntamenti importanti: il referendum sulle trivelle petrolifere di metà aprile, le elezioni comunali di giugno, il referendum sulla riforma costituzionale previsto ad ottobre.
Si tratta di un pericoloso percorso ad ostacoli nel quale si gioca la sorte del governo, della legislatura e dello stesso Renzi. Denis Verdini, ex braccio destro di Silvio Berlusconi, entrato da pochi mesi nella maggioranza di governo, costituisce un altro elemento esplosivo. I voti in Parlamento dei verdiniani di Ala sono contestatissimi dalle sinistre del Pd perche “snaturano” il partito spostandolo a destra, ma sono difesi da Renzi perché senza di essi l’esecutivo non ha la maggioranza al Senato.
La trasformazione del Pd in senso “neocentrista” ha già provocato una pesante emorragia a sinistra: Stefano Fassina, Pippo Civati e Sergio Cofferati hanno lasciato il partito lo scorso anno. Le minoranze democratiche sono in rivolta e potrebbe succedere di tutto. Gianni Cuperlo, che prima aveva sempre bocciato una scissione, adesso non la esclude: «Sento il peso di stare in questo partito».
Renzi, nato sotto la stella della “rottamazione” della vecchia classe politica, del ricambio generazionale, rischia di essere “rottamato”. Tuttavia il presidente del Consiglio non molla, è pronto a dare battaglia: «Non farò più di due mandati. Fuori di qui ci sono due nemici: populismo e demagogia».
Deve recuperare consensi a sinistra, consolidando la “presa” su diversi settori elettorali di centrodestra. Contemporaneamente deve riacquistare la fiducia dei “ribelli”, del voto di protesta sensibile alle sirene di Grillo, Salvini e Berlusconi. L’impresa è dura, ma Renzi ha sempre pronta una proposta a sorpresa per capovolgere una pericolosa situazione, per trasformare una possibile sconfitta in una vittoria.
Ancora una volta la mossa a sorpresa potrebbe riguardare il fisco. Renzi ha mandato un segnale preciso: è “allo studio” l’ipotesi di concedere gli 80 euro al mese di bonus fiscale non solo ai lavoratori con gli stipendi più bassi «ma anche di darli in prospettiva a chi prende la pensione minima. Vedremo se saremo in grado di farlo». Sarebbe un ottimo colpo nella campagna elettorale per votare i sindaci a giugno.