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La contro-narrazione di papa Francesco

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Nei giorni dell’odio, della violenza, della barbarie sistematica, di fronte alle stragi di Bruxelles, Baghdad e Lahore, duole dover constatare che l’unica voce che si è levata in maniera autorevole contro questa discesa agli inferi dell’umanità è stata, ancora una volta, quella di papa Francesco.
Bergoglio uomo del dialogo, Bergoglio mediatore, Bergoglio guida carismatica di una Chiesa che, pur essendo afflitta da mille problemi, scandali e controversie, dal giorno del suo arrivo ha ripreso vigore, ma anche Bergoglio emblema della fermezza e della condanna senza appello di ogni forma di degenerazione dei rapporti umani, prima fra tutte l’utilizzo della religione per giustificare azioni atroci che nulla hanno a che vedere col messaggio di Dio.

E questo è il primo punto caratterizzante del pontificato di Francesco. Per Bergoglio, infatti, non esiste un Dio dei cristiani, un Dio dei musulmani e un Dio degli induisti ma un unico Dio dell’amore e della comprensione, del rispetto, della tolleranza, della bontà e della fratellanza che nessun uomo ha il diritto di bestemmiare compiendo in suo nome atti esecrabili. Per Bergoglio la comunità umana è una e indivisibile, la diversità è un valore, ogni differenza merita di essere accolta e considerata un arricchimento per la collettività nel suo insieme, non certo un ostacolo allo sviluppo della stessa, la fede deve essere autentica e improntata ai princìpi del Vangelo e nessuna forma di oppressione o di sopraffazione deve essere mai, in alcun modo, accettata.

Il secondo elemento qualificante di questo pontificato riguarda la cosiddetta “narrazione”: un’espressione tanto di moda in quest’epoca di racconti artefatti e costruiti a tavolino. Come abbiamo già detto in altre occasioni, la profezia del pontificato di Francesco sono le periferie, gli ultimi, i disperati, quell’umanità dolente che Bergoglio va a incontrare, a conoscere, a cercare di capire, cui va a lavare i piedi il giovedì santo e ai quali invia di continuo messaggi di conforto e di speranza. Nella stagione del “vincismo” e dell’esclusione di chi resta indietro, Francesco condanna senza appello la “cultura dello scarto”, i capisaldi del liberismo, lo sfruttamento selvaggio dell’ambiente, la devastazione del paesaggio e del territorio e le politiche che producono iniquità e diseguaglianza, costituendo di fatto una narrazione alternativa rispetto ai dettami dell’ultimo trentennio.

Il terzo aspetto che colpisce particolarmente di quest’esperienza singolare, sia sul piano politico che dal punto di vista spirituale, è, per l’appunto, l’autenticità. Papa Francesco riesce a farsi ascoltare perché è percepito, tanto dai credenti quanto dai non credenti, come un uomo prima ancora che come il pontefice, come una figura vicina, alla mano, sempre capace di sorprendere e di guardare negli occhi i suoi interlocutori, specie se si tratta di detenuti, rom, migranti, poveri, malati, barboni, ossia di tutti coloro che nessuno intervista, di cui nessuno si interessa, che gran parte della società disprezza, ignora, ritiene degli sconfitti, dunque indegni di attenzione e rispetto, e che invece Bergoglio chiama a sé, abbraccia, considera il volto autentico e rivelatore della parola di Dio. Questa sua sincerità, questo suo scandagliare la società fin nel profondo, questo suo ribaltare la narrazione ufficiale, composta unicamente da luci della ribalta e storie di successo, questa sua costante descrizione della sofferenza umana, questo suo portare alla luce le miserie di una stagione fra le più inique che si siano mai viste, questa contro-narrazione, in linea con il nome che il Papa venuto dalla fine del mondo ha scelto nel marzo del 2013, ha modificato nettamente la geopolitica vaticana ma anche il dibattito pubblico mondiale, l’agenda dei potenti della Terra e i temi cardine dei vertici internazionali, dai quali non è più possibile tener fuori la questione della crescita, dell’equità sociale e di un modello di convivenza più umano e sostenibile.

Allo stesso modo, andando a Lampedusa a rendere omaggio alle vittime delle traversate della disperazione, Francesco ha reso obsoleto, ridicolo ed insulso il vulcano d’odio che ribolle nella nostra società e si riverbera nel nostro dibattito politico, trasformando i social network in una cloaca di insulti, offese e affermazioni vergognose e le istituzioni nella cassa di risonanza dell’inciviltà di ritorno che ci affligge da tempo.

Una stecca nel coro, quindi, un rivoluzionario gentile, un intellettuale fuori dagli schemi o, più semplicemente, una persona che ha deciso di restare umana e di non rassegnarsi al moloch del consenso facile, seguendo i dogmi del populismo e del pensiero unico imperanti; un punto di riferimento capace di sfruttare a pieno la propria autorevolezza e il proprio prestigio per indicare una via radicalmente alternativa al sentiero, apparentemente agevole ma in realtà destinato a condurci in fondo a un burrone, che abbiamo percorso sinora.

Che Dio ce la conservi a lungo questa umile grandezza! Che rimanga fra noi questa semplicità capace di scuotere le coscienze, di parlare all’anima e di dire chiaramente a tutti i cinici da strapazzo che dominano il panorama internazionale che un’altra idea di società, di mondo, di sviluppo economico e di convivenza civile non solo non è utopistica ma è a portata di mano, se solo avessimo una classe dirigente in grado di ribellarsi alla disumanità di un modello insostenibile che presto finirà col travolgere ogni effimera certezza. Perché anche l’uno per cento di nababbi che si è arricchito a dismisura a scapito del novantanove per cento della popolazione non può più sentirsi al sicuro, per il semplice motivo che un contesto disumano e disumanizzante, prima o poi, finisce col divorare anche chi si illude presuntuosamente di essere al riparo tanto dal giudizio di Dio quanto da quello degli uomini. Papa Francesco asserisce fin dal primo giorno del suo pontificato che si tratta di due convinzioni errate, e almeno sulla Terra questa sua analisi ha già trovato conferma.


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