Presa Diretta ha trasmesso fatti (e misfatti) che ruotano attorno a migliaia di vittime italiane (milioni a livello planetario) contagiate da epatite C (HCV). Il pezzo realizza assunti inquietanti, primo fra i quali: chi è ricco può curarsi, chi non lo è può morire.
Limitiamoci a casa nostra.
Attorno agli anni 80 la sanità pubblica trasfuse migliaia di sacche sangue ed emocomponenti infetti da HCV. Chi ha potuto dimostrare che prima della trasfusione era sano è in fila per ottenere dallo Stato il risarcimento danni. Tutti gli altri, insieme con coloro che hanno contratto il virus per altre vie (odontoiatria, siringhe infette ecc.), patiscono in proprio le conseguenze di virus potenzialmente mortale e irreversibile almeno fino qualche anno fa, epoca in cui è stata scoperta la rivoluzionaria terapia che lo annienta, o meglio, che blocca la sua opera devastatrice. La casa farmaceutica scopritrice fu fagocitata da chi (a offerta per rilancio) propose oltre 11miliardi di dollari (!) per metterla sul mercato. Da lì conseguì la commercializzazione monopolizzata. La nostra Aifa nel 2014 l’acquistò spuntando un certo prezzo (seppur a quanto pare inferiore di circa la metà degli 84mila $ in Usa). Prezzo che per l’Italia risulta a tutt’oggi ancora stratosferico e dunque non spendibile per tutti i malati e infatti ci dicono che i soldi non bastano per tutti. Da qui una sorta d’ambarabacicciccoccò SSN “orientata istituzionalmente” a “scegliere” i pazienti cui somministrare il farmaco salvifico. E’ ciò che accade pressappoco dal 2014 a oggi in tutta Italia. La cantilena terapeutica tra medico e paziente tende a orientarsi in via temporale più o meno in queste fasi: 1)“lei al momento non è così grave dunque non rientra nella somministrazione, rivedremo alla prossima visita”. Passa un semestre. 2) “qui è il caso di fare altri esami poi vedremo” . Altro semestre e si chiude l’anno. Nell’anno successivo i nuovi esami invitano il medico a rilevare che “be’ quel valore è significativo, importante quanto a parametro, sì, a ben vedere lei può essere inserito nel protocollo”. Quell’anno trascorre a vuoto, per lo più interamente con domanda del paziente sul tipo “quando iniziamo dunque?” Ed è qui che scattano risposte evasive, ma esplicite, del tipo “al momento non ci sono soldi, si tranquillizzi appena ci saranno lei sarà tra i primi della lista”. Ed è qui che s’instaura il ventaglio dei pazienti: va da coloro che, potendo pagare in proprio l’ottenimento del farmaco, possono rivolgersi ad altri paesi//continenti a coloro che, per indigenza o ignoranza, sono costretti a bloccarsi sull’assistenza italiana. Tra i primi c’è anche chi s’è rivolto all’India . Con massimo un terzo del costo italiano (voli, soggiorno, visite private e terapia compresi) ottiene il tutto. L’India, infatti, a differenza di tutto il resto del pianeta, non solo si è attivata per operare in proprio quanto a brevetti, ma sta lavorando -con ottimi risultati- per ottenere, in virtù di ciò che sancisce la Carta Universale, il diritto alla salute spettante a tutti i popoli. Di fatto l’antidoto all’ HCV è da paragonarsi alla penicillina e a tutti gli storici vaccini salvavita ormai ottenibili con pochi spiccioli (morbillo/vaiolo/polio ecc.). L’India in tal senso ha lavorato anche sull’Aids.
Ebbene, ai pazienti italiani affetti da HCV (teniamo anche ben presente le fonti di contagio!) che, rivolgendosi ai loro distretti sanitari, sono pressoché trattati come sopra, mi permetto di consigliare: chiedete per iscritto ciò che dichiarano i vostri medici. Delle due l’una: o non siete al momento necessari di quella terapia oppure ne avete bisogno, ma il SSN non ha soldi per pagarvela. Nel primo caso ne risponderà, quanto scienza e coscienza, il medico. Nel secondo ne risponderà lo Stato che vi sta impedendo di far valere il sacrosanto diritto sancito non solo dalla Carta Universale, ma anche dal costituzionale italiano art. 32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Il nostro governo fa l’indiano? No. In questo caso fa l’opposto. Invece d’attivarsi insieme con la “sua” Aifa a lavorare come sta facendo l’India, sottosta al pizzo del monopolio statunitense divenendo così, automaticamente, detentore del potere di vita e di morte…