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Luchino Visconti: la poesia, la storia, la vita

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Luchino Visconti e la sua arte; Luchino Visconti e i suoi film; Luchino Visconti e la capacità di riempirci gli occhi e il cuore di meraviglia con capolavori come “Ossessione”, “Senso”, “Il gattopardo” e molti altri ancora; Luchino Visconti e la sua grande passione politica; Luchino visconti che ci ha lasciato quarant’anni fa e del quale oggi avvertiamo più che mai la mancanza.

E no, non è la solita frase fatta, il classico tributo postumo a un grande del panorama culturale che non c’è più, la consueta retorica buona unicamente per celebrare un uomo che magari, quand’era in vita, non solo non si è stimato per niente ma contro il quale sono state scagliate parole di fuoco: non è nel nostro stile compiere simili atti di ipocrisia.

Se oggi, nel quarantesimo anniversario della scomparsa, ricordiamo Luchino Visconti è perché sentiamo invero la necessità di condividere le emozioni che abbiamo provato nell’assistere all’epica racchiusa in una produzione intensa, mai banale, profonda, particolareggiata, attenta ad ogni minimo dettaglio e meticolosa nel ricostruire atmosfere, ambientazioni, paesaggi, contesti, modi di parlare e di comportarsi, passando con innato eclettismo dalla Sicilia disperata dei pescatori de “La terra trema” allo sfarzo dei luoghi del principe di Salina e raccontando, in fondo, un’eterna storia di soprusi e di ingiustizie, di apparenze e di meschinità, di cambiamenti di facciata e di rivoluzioni tradite, di speranze annientate dal successivo corso degli eventi e di poteri immutabili, capaci di inabissarsi e di riemergere ciclicamente, senza mai farsi davvero da parte.

Luchino Visconti e la sua passione viscerale per la storia, della quale è stato capace di mostrare ogni sfaccettatura, descrivendo i singoli eventi con maestria, senza lasciare nulla al caso, intrecciando le piccole storie quotidiane dei suoi protagonisti, fossero essi nobili o disperati, galantuomini o farabutti, con la grande storia che si studia sui libri di scuola, spesso trasformata colpevolmente in mito da autori in cerca di un’immeritata visibilità.

Potremmo dire, senza il timore di essere smentiti, che Visconti, con il suo cinema, ha compiuto, all’opposto, un’operazione di verità, scuotendo le coscienze e stimolando tutti noi a riflettere su quanti presunti giganti, da molti omaggiati e ricordati con tutti gli onori, siano stati in realtà dei piccoli uomini inconsistenti, pavidi, dannosi, pieni di sé al punto di anteporre sempre i propri interessi a quelli della comunità.

A modo suo dissacrante, Visconti è oggi considerato uno dei maggiori interpreti della fortunata stagione neo-realista che vide finalmente l’ingresso in scena della realtà dopo troppi anni di finzione, propaganda, inganno e mistificazione, orchestrati dal regime fascista al fine di nascondere un impianto ideologico pressoché inesistente, una crudeltà tangibile e l’andamento di una guerra che si sarebbe rivelata ben presto disastrosa su tutti i fronti.

Visconti, al contrario, scelse di prendere per mano gli spettatori e di farli vivere all’interno dei suoi film, tanto che ogni volta che li si rivede si ha l’impressione di salire a bordo di una sorta di macchina del tempo, capace di rendere attuale un mondo del quale ormai non è rimasta traccia.

Tutto ciò è dovuto anche al grande studio di questo straordinario cineasta su quella che potremmo definire l’eterna dimensione umana, il suo mutare, per l’appunto, rimanendo sempre uguale a se stessa, il suo riproporsi secondo quelli che Vico chiamava “corsi e ricorsi storici”, il suo non subire mai modifiche sostanziali, il suo attraversare i secoli e restare sempre cinica e cinicamente aggrappata alla difesa dei propri privilegi e della propria posizione a scapito del benessere altrui.

Un pessimista, dunque, animato da un rapporto di amore e odio con un’umanità che osservava da vicino, che lo appassionava profondamente ma nella quale faceva fatica a riconoscersi, a meno che non si trattasse (e in questo c’è una somiglianza incredibile con Pasolini) degli ultimi, degli esclusi, dei miserabili in cerca di una speranza e di un domani.

Ha scritto su di lui la poetessa Maria Luisa Spaziani, la celebre “Volpe” di Montale: “Guardo il cielo e penso a Luchino Visconti / quando disse alle mie incredule orecchie: / ‘Il regista è un soggetto storico / si guardi bene dall’inquadrare il cielo. / Qualche occhio sensibile può accorgersi / che quelle nuvole non sono d’epoca’. / Quante volte, negli anni, avrei voluto / ricondurlo su quell’argomento. / Inventava? Era serio? Scherzava? / Ricordava di avermelo detto? / Quante volte vorremmo ritornare / sui nostri passi, per ulteriori riprove. / Prima un pudore timido lo vieta. / Poi, di colpo, il Sipario”.

Luchino Visconti e un addio lungo quarant’anni, mentre l’umanità è andata via via smarrendosi e le nostre vite si sono incattivite ogni giorno di più, probabilmente anche a causa dell’assenza di narratori in grado di porci davanti a uno specchio e di dirci coraggiosamente la verità su noi stessi.


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