Fate rumore, ponete al centro dell’attenzione internazionale la situazione in cui viviamo, veniamo arrestate, represse uccise, subiamo violenze e molestie di ogni tipo. A chiederlo sono due giornaliste ospiti della Commissione Pari opportunità della Fnsi nell’incontro #IoNonStoZitta alla vigilia della giornata internazionale della donna, l’egiziana, Hanan Solayman, intervenuta via skype, e la cronista turca Ceyda Karan (nella foto), del quotidiano di opposizione Cumhuriyet. Due storie diverse ma simili che raccontano di due paesi alleati importanti dell’Italia e dell’Europa, tra i nostri più forti partner economici, ma anche due paesi in fondo a tutte le liste sulla libertà di stampa e sul rispetto dei diritti politici, civili, umani.
Ceyda Karan è una collega che conosciamo da tempo: è stata ospite dell’ultimo congresso Usigrai a dicembre. Alla sua testimonianza è legato il sit-in sotto l’ambasciata di Ankara a Roma organizzato il 21 gennaio, nel giorno della prima udienza al processo che la vede imputata per aver pubblicato sul suo giornale la vignetta di Charlie Hebdo. Un giornale, il suo, che rischia molto, pochi giorni fa sono usciti dal carcere Can Dundar ed Erdem Gul, direttore e vice direttore accusati di spionaggio e collusione con i terroristi per aver pubblicato un’inchiesta che dimostrava un traffico di armi dalla Turchia alle milizie dell’Isis. Liberi per ora, ma rischiano l’ergastolo.
“La situazione in Turchia è allarmante”, denuncia Ceyda Karan davanti a una platea composta di tante croniste italiane vittime di minacce e querele che sfiorano il vero e proprio stalking.
“Voi state meglio di noi, nonostante i tanti casi di minacce – continua la reporter turca – ma in Italia voi donne non siete minoranza nei media e totalmente assenti dai ruoli di vertice, come accade da noi. Dipende dalla cultura diffusa che ci considera inferiori, ma in gran parte è dovuto all’attuale establishment islamico al potere”.
Per i continui attacchi alla libertà di stampa ognuno è in pericolo, non solo le donne, spiega la giornalista, non c’e una vera dittatura come in Egitto ma molta violenza, specie su donne anche con molestie sessuali; ad esempio durante le manifestazioni, è stato calcolato che le croniste subiscono tre volte più aggressioni dei loro colleghi maschi. “Di recente – racconta ancora Ceyda –mentre seguiva per lavoro le proteste contro l’attuale sistema di istruzione, una giornalista è stata arrestata e picchiata e gli agenti le dicevano ’t’insegniamo noi il tuo lavoro’.” E ancora racconta di una giovane cronista che scrive sempre su Cumhuriyet che rischia 23 anni di prigione per aver svelato, in un’inchiesta su appalti pubblici poco chiari, il coinvolgimento di alcuni magistrati. Una notizia vera, i giudici in questione sono sotto processo, ma l’accusa di diffamazione resta in piedi, come resta sotto processo un’altra reporter che aveva raccontato di come miliziani dell’Isis si addestrassero sul suolo turco. Il reato è proprio di aver fatto il loro dovere, riportare ai cittadini notizie rilevanti che il potere vuole oscurare.
Al momento sono ben 33 i giornalisti detenuti, tra loro 4 donne. E proprio ieri è arrivata la notizia del commissariamento anche dell’agenzia di stampa Cihan, che fa capo allo stesso gruppo editoriale del quotidiano Zaman, oggi nelle mani di una direzione pro-Erdogan. La Cihan è considerata l’unica agenzia – oltre a quella statale Anadolu – a essere in grado di fornire una copertura a livello nazionale delle operazioni di scrutinio durante le elezioni.
“La Turchia sta trasformandosi in uno stato fascista”, non usa mezzi termini Ceyda Karan, che a noi, in Italia e in Europa ricorda: “solo se tenete i riflettori accesi, se continuate a seguire e denunciare gli attacchi ormai sistematici contro la libertà di informare in Turchia, se obbligate i vostri governi a chiedere conto al governo turco, possiamo sperare di fermare la deriva, altrimenti il buio ci inghiottirà e spariremo, come già accade in Egitto.”