Il dibattito nell’Aula di Montecitorio sulla Relazione e le proposte della Commissione Parlamentare Antimafia
La condizione dei giornalisti italiani minacciati dalle mafie e da altri poteri è molto grave, condiziona la libertà di stampa e richiede perciò interventi urgenti, anche sul piano legislativo, come propone la Relazione approvata il 5 agosto 2015 dalla Commissione Parlamentare Antimafia, a conclusione di un’indagine sul fenomeno, condotta nell’arco di dodici mesi. Lo hanno detto tutti i parlamentari intervenuti lunedì 29 febbraio 206, nell’Aula della Camera, nella discussione generale sul circostanziato documento dell’Antimafia. Il sottosegretario alla Giustizia, Gennaro Migliore, ha espresso parere favorevole all’approvazione della risoluzione che propone alla Camera dei Deputati di condividere il contenuto della Relazione. La risoluzione sarà messa in votazione nei prossimi giorni.
“È la prima volta che la Commissione Antimafia dedica una relazione ad hoc, specifica a questo tema”, ha sottolineato, in apertura dei lavori, Claudio Fava, vice presidente della Commissione e estensore della Relazione. “Lo abbiamo fatto – ha aggiunto – per una ragione di urgenza e di necessità, al tempo stesso, se sono vere – e purtroppo sono vere, forse approssimate per difetto – le cifre che vengono fornite dall’osservatorio sul giornalismo «Ossigeno per l’informazione», che ci parlano di tre giornalisti minacciati ogni due giorni. Queste minacce sono ormai diffuse in tutte le Regione. Fa eccezione soltanto la Valle d’Aosta. I giornalisti più a rischio sono quelli che lavorano in periferia e i precari. Se dovessimo aggiornare l’elenco dei molti giornalisti che hanno subito minacce o altre violenze sulla base di cio che è accaduto dopo la data di approvazione di questa relazione (il 5 agosto 2015), saremmo costretti ad aggiungere molti altri casi. Ciò che accade non deve stupire: ciò che spinge le mafie a controllare e condizionare l’informazione, è al tempo stesso l’impunità di queste violenze e un’esigenza di sopravvivenza delle stesse mafie. Si condizionano i giornalisti per controllare i territori; per costruire su quei territori legittimazione sociale; per realizzare condizioni di consenso, un consenso che a volte ha bisogno anche di una stampa compiacente o almeno sottomessa, subalterna, condizionata. In che modo accade tutto questo ? Pretendendo silenzio, pretendendo obbedienza, pretendendo a volte anche connivenza. Noi dedichiamo questo lavoro alla memoria dei 9 giornalisti italiani uccisi dalla criminalità organizzata”.
La portavoce di Forza Italia alla Camera dei Deputati, Mara Carfagna, ha espresso solidarietà ai giornalisti minacciati e ha assicurato che “il Gruppo di Forza Italia si impegna fin da ora a contribuire a ogni iniziativa legislativa utile a garantire e tutelare con maggiore efficacia la libertà di informare, di comunicare e di diffondere idee, nell’interesse di tutti i cittadini. E’ un nostro obbligo. E’ un nostro dovere. E’ un impegno – ha affermato – che dobbiamo alla categoria dei giornalisti, ma anche all’Italia e agli italiani, che hanno il diritto di essere informati da professionisti liberi da ogni condizionamento. Un Paese infatti e’ veramente libero quando la sua ‘voce’ può definirsi libera.”
“Nell’ordinamento italiano – ha aggiunto Carfagna, riprendendo una delle proposte contenute nella Relazione – c’e’ una sola norma penale che tutela meramente la produzione e la diffusione di un mezzo di informazione stampato, da chi agisce con violenza o minaccia. Ma non tutela il lavoro intellettuale del giornalista, la sua attività di ricerca della notizia, di elaborazione e di esternazione del proprio pensiero. Crediamo sia dunque necessario rivedere la normativa, inasprendo le sanzioni ed estendendo la tutela anche alle condotte di violenza, minaccia e danneggiamento, quando siano finalizzati a condizionare, limitare, impedire la libertà della stampa e degli altri mezzi di comunicazione”.
Positivo anche il giudizio del deputato del Movimento Cinque Stelle, Francesco D’Uva, vice presidente del Comitato che ha condotto l’indagine. “L’Osservatorio su informazioni giornalistiche e notizie oscurate, Ossigeno, ha registrato ben 2763 intimidazioni dal 2006 ad oggi. Un numero preoccupante per un Paese civile quale dovrebbe essere Italia. Nella relazione sono citati dei casi, riportati dei nomi, emersi durante le audizioni svolte, ma sia chiaro che la relazione non vuole essere un elenco dei bravi giornalisti o qualcosa di questo tipo. La parte più interessante della relazione è quella riguardante l’influenza delle organizzazioni criminali sugli organi di informazione. Essa può avvenire attraverso le già citate intimidazioni, certo, ma il caso più interessante da analizzare è quello delle infiltrazioni, delle cointeressenze. Sono riportati dei casi abbastanza interessanti”. D’Uva ha invitato le organizzazioni dei giornalisti “a fare di più”, ad affrontare il problema del precariato e delle basse paghe dei freelance e del facile abuso delle querele e delle cause per diffamazione.
Prendendo la parola per l’intervento conclusivo, l’on. Rosi Bindi ha manifestato sorpresa per il fatto che nessun parlamentare del suo gruppo, il Partito Democratico, si fosse iscritto a parlare. Questa, ha detto, è una relazione “importante e coraggiosa, che fa nomi e cognomi, nella grande tradizione dell’Antimafia, come fece quarant’anni fa la relazione firmata dall’on. Pio La Torre che, anch’essa, chiamava per nome e cognome le persone e le situazioni e non usava come fonte soltanto gli atti giudiziari”. “Noi facciamo la fotografia ad un mondo che più di altri ci mostra la capacità delle mafie di essere sempre uguali a sé stesse e sempre capaci di cambiare, rivelandosi una realtà difficile da indagare perché le verità e le menzogne si intrecciano in maniera che potremmo definire incestuosa”. La Relazione, ha detto l’on Bindi, oltre ai giornalisti uccisi e minacciati, a coloro che ricevono querele temerarie, “è dedicata prevalentemente a coloro che si trovano in una posizione che li rende, in qualche modo, minacciati già nel momento in cui devono esercitare la loro professione. A ciò va posto rimedio, io credo, perché la precarietà del rapporto di lavoro è la negazione di un diritto. Ciò vale per tutti i lavoratori, ma quando a un lavoro è legata la tutela di un diritto fondamentale scritto nella Costituzione noi dobbiamo sentirci ancora più impegnati”.
“Ciò che oggi rende più vulnerabile chi svolge il lavoro dell’informazione è la precarietà del modo del lavoro. Un giornalista non può essere libero se non viene riconosciuto pienamente il suo diritto a svolgere il proprio lavoro. L’essere condizionato dalla precarietà, più che dal non adeguato compenso economico del lavoro che viene svolto, rende continuamente ricattabile l’esercizio di questa funzione fondamentale. Il nostro diritto a essere informati – ha concluso Rosi Bindi – è legato alla libertà di coloro che ci devono informare. La Relazione formula proposte che la nostra stessa Commissione si riserva di tradurre in iniziative legislative”.
A nome del Governo, il sottosegretario alla Giustizia, Gennaro Migliore, ha espresso parere sulla risoluzione che approva il contenuto della Relazione.
“Il Governo intende assumere in maniera costante e celere – ha detto – un impegno sia sul versante degli interventi richiesti in materia di tutela delle persone impegnate nel mondo dell’informazione sia sul comparto più generale dell’informazione che, come è stato qui ricordato, riguarda un diritto fondamentale sancito e custodito dalla nostra Costituzione”.
ASP