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Carlo Galli parla di Cosmopolitica, l’appuntamento nazionale che darà vita al nuovo partito della Sinistra italiana

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Di Pino Salerno

Parlo con Carlo Galli, politologo dell’Università di Bologna, autore di libri importanti sulla società e la sinistra italiane, deputato ora in Sinistra Italiana, mentre ancora subiamo entrambi gli echi della deludente prova al Senato sul ddl relativo alle Unioni civili. Carlo Galli è stato invitato a tenere una delle relazioni di impianto teorico e politico all’assemblea del 19, 20 e 21 febbraio di “Cosmopolitica”, il primo grande passo da cui prenderà vita il nuovo partito della Sinistra. Non potevamo dare inizio a questa intervista che con un giudizio di merito su quanto accaduto in Senato, soprattutto perché nell’opinione pubblica il fallimento del varo della legge induce non solo sconforto, ma soprattutto atteggiamenti di condanna generalizzata verso la politica tout court.

“È sbagliato dare la colpa alla politica in generale”, replica Carlo Galli, “è un atteggiamento che porta a votare il Movimento 5 stelle. Il quale, in  realtà, si è distinto come movimento tanto privo di affidabilità da agire nel modo che tutti oggi stigmatizziamo. Il punto è che bisogna cominciare a esercitare lo spirito critico. Quel ddl sulle unioni civili è civile e progressista, ma è stato bloccato prima dalla ostinazione dei cattolici, con atteggiamenti di chiusura, che hanno generato difficoltà nel Pd. Poi, in queste difficoltà, altri partiti si sono infilati, producendo vistosi elementi di rottura. Erano più determinati a provocare un danno per il Pd che a dare all’Italia una legge civile. A questo punto, mi sembra che la responsabilità sia del Pd ed anche del Movimento 5 stelle, che dopo aver detto che avrebbe votato il ddl, ora ha cambiato direzione. Simplex sigillum veri, la semplicità è segno certo della verità”.

Passiamo all’atto di fondazione del nuovo partito della Sinistra. Quali sono i pilastri politici e teorici del nuovo partito?

Per quanto mi riguarda, l’idea è quella di mettere al mondo, con gradualità opportuna e attraversando momenti dialettici, un soggetto che abbia la forma, l’aspetto e il comportamento politico di un partito. Certo, un partito plurale, che non sia un monolite né una caserma. Un partito della sinistra che sappia fornire continuità e orizzonte a un universo sociale e politico ricco di dinamismo e che viva, interpretandoli, degli impulsi e dei conflitti che provengono dalla società. In realtà, la mia apertura ai lavori di Cosmopolitica assumerà la forma di un quadro su ciò che di solito si definisce come il contesto internazionale. Credo infatti che i due principali problemi politici dell’Italia siano di natura extranazionale: ve n’è uno che possiamo chiamare ‘relativo alla frontiera settentrionale’, mentre l’altro nasce dalla cosiddetta ‘frontiera meridionale’. La prima frontiera è quella dell’euro a trazione germanica, in cui sono state elaborate strategie di risposta alla crisi del capitalismo in chiave di austerità, il che ha generato effetti drammatici sulla politica, la società, la democrazia e l’economia italiane. La seconda frontiera, quella meridionale, è caratterizzata dal caos geopolitico che, per responsabilità ben note, investe l’intero Medio Oriente fino all’Africa settentrionale e che ha generato due fenomeni distinti l’uno dall’altro, i quali sono divenuti in modo diverso problemi enormi: i migranti e il terrorismo. Problemi davanti ai quali l’Europa spaventata vacilla e reagisce con politiche autoritarie e populiste. Sui migranti occorre  inoltre convincersi che essi non sono solo il prodotto della catastrofe delle guerre, ma anche della desertificazione progressiva dell’Africa sub sahariana. La desertificazione, prodotta dal cambiamento climatico, ha un impatto negativo altrettanto potente quanto le guerre. Perciò, non siamo in presenza solo di un problema, quello delle politiche di austerità, ma di tre problemi epocali. È da questa analisi che occorre partire”.

L’analisi del professor Carlo Galli ci induce, in realtà, a ripensare politicamente le forme dell’interdipendenza, ad analizzarne e a farne, con forza, oggetto di dibattito pubblico anche per la costruzione del nuovo partito nazionale della sinistra.

“I problemi politici interni sono determinati quasi totalmente da fattori esterni. Partiamo da questa considerazione: la democrazia non funziona più, perché la società è stata distrutta proprio dai diktat economici internazionali. La costruzione della cittadinanza democratica non funziona se non si  fornisce ai cittadini quella stabilità esistenziale che il rapporto tra economia e politica oggi non è capace di offrire. Sul tema della sicurezza, invece, si lascia enorme spazio alle destre, che vi investono le loro fortune. Invece la sicurezza si situa al cuore della moderna forma-Stato:  è un diritto, non un privilegio, il frutto della giustizia e dell’inclusione. E quindi se ne deve fare carico anche la sinistra, che  deve ricostruire le forme della politica attraverso il conflitto, la partecipazione, l’organizzazione, ossia attraverso il partito, il sindacato e lo Stato, evitando di cadere nelle trappola del postmodernismo a tutti i costi. Quando proclamiamo che la società è liquida, che tutto è indistinto e occasionale, vince il neoliberismo. Per questo, la sinistra deve trovare energie intellettuali per costruire idee e forme di potere che sia in grado di contrastare il potere economico”.

Anche nella riflessione del nuovo partito vi è dunque la centralità dello stato e della giustizia sociale.

“Per trovare un potere che dia regolazione al capitale è necessario lo Stato, che non è del tutto  tramontato. Tramontato è lo Stato sociale, frutto del grande compromesso tra capitale e lavoro, capolavoro della socialdemocrazia europea del XX secolo. Penso oggi, nelle mutate condizioni, a una nuova architettura che abbia la caratteristica della statualità, che la declini come giustizia e che sia al tempo stesso più leggera e dinamica. Il tema della giustizia è quello che ci distingue come sinistra, che ci impone di non abbandonare i nostri antichi strumenti di lavoro, lo stato e il partito. Altrimenti, se non lo facciamo noi, al posto del partito emergeranno i grandi agglomerati di potere economico e mediatico. Naturalmente, va sottolineato che lo Stato attuale è quello che erige i muri e che è escludente, che istituisce le differenze e blocca l’accordo di Schengen, che differenzia il welfare con l’avallo delle istituzioni europee. Lo Stato attuale si comporta come strumento del capitale, invece che come forza regolatrice del capitale in nome della giustizia. È per questo che come atto fondativo del nuovo partito dobbiamo avere il coraggio di ripensare anche lo Stato, in parallelo si movimenti dal basso. E questo non è sovranismo, ma il tentativo  di elaborare analisi realistiche.

Dunque ,il nuovo partito si caratterizza soprattutto come tentativo di ricostruzione dello Stato, schiacciato dagli interessi del grande capitale. Un compito immane.

“Lo Stato è rimasto al centro delle strategie di questi decenni di molte potenze occidentali. Esse ad esempio hanno adoperato il Medio Oriente come una sorta di esercizio di potere, radendo al suolo gli Stati come la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan, e generando così  una politica fatta da bande armate. Sono apprendisti stregoni, spiazzati nei loro maldestri tentativi neocolonialisti. L’unica chance è quella di fare giustizia, appunto, tenendo in considerazione anche le ragioni dei senza terra, dei popoli curdo e palestinese, delle popolazioni costrette a guerre forzate, e percorse dalla ferocia delle bande armate come l’Isis. Occorre chiamare le cose col loro nome. La nostra sicurezza nasce dalla sicurezza altrui, la nostra giustizia nasce dalla giustizia di cui godono anche gli altri. La sinistra non può non provare a rilanciare risposte che si distanzino da queste sciagurate politiche”.

Ecco l’Europa. Parafrasando il titolo di un celebre libro di Jacques Derrida, dove va “oggi, l’Europa”?

“Basta che ci intendiamo. Se vuol dire più tecnocrazia, più Germania o più euro non ci siamo: l’aggravamento dei problemi non è la soluzione. Occorre tornare a Kant, e immaginare una federazione di Stati; il che è una risposta al sovranismo ovvero all’idea che l’Europa sia uno spazio in cui un certo numero di Stati sono in lotta uno contro l’altro. Per Kant, e per noi, e’ invece interesse di tutti gli Stati costruire nel diritto e nella giustizia una federazione. E vi è possibile solo se gli Stati europei hanno una struttura democratica al proprio interno. Ovvero, siano capaci di realizzare la democrazia sociale, e che non siano percorsi da quelle polarizzazioni che danno spazio alle risposte populiste delle destre ovunque. La prima mossa da fare è di introdurre più democrazia negli Stati. Senza Stati democratici non si costruisce l’Europa”.

La democrazia è dunque all’origine dell’analisi non solo dei limiti attuali dell’Europa tecnocratica ed etero diretta dal grande capitale, ma anche della politica italiana. Il nuovo partito dovrà rielaborare le forme della democrazia nel nostro paese, dopo Renzi?

“Intanto, noi rifiutiamo la democrazia plebiscitaria. Siamo un partito democratico autentico. Certo, rispetto al renzismo partiamo in svantaggio, perché siamo davanti a chi dice ‘qualcosa l’ho fatta e voi non avete fatto nulla’. Noi diciamo no all’idea di democrazia che ci propone Renzi, verticistica e antipartitica, con venature populiste, orientata alla seguente idea di politica: ‘cari cittadini, la politica la faccio io, poi ogni 5 anni andiamo alle elezioni e chi vince governa per 5 anni, così voi per 5 anni siete liberati dalla politica”. Ma togliere la politica dalla società è l’esatto contrario della politica: questa altro non è se non la vita sociale che si esercita mediante il conflitto, che cerca equilibri in continua negoziazione. Renzi la fonda sulla logica del tutto o nulla, ma la politica è dialettica, conflitto e alleanze come ricerca di equilibrio tra soggetti sociali”.

In questa idea della politica che esclude rientra anche la decisione di esaltare candidature “non politiche” ma di tecnocrati alle prossime elezioni amministrative?

“In alcune città, le elezioni amministrative di giugno non saranno un passaggio banale. A Milano  ora siamo subalterni a una candidatura manageriale, perché abbiamo commesso l’errore di partecipare alle primarie. Ora, il livello amministrativo è certo organizzato da leggi elettorali diverse rispetto alle leggi nazionali: nelle città si possono fare le alleanze, ma ci si deve arrivare attraverso una lunga e aperta riflessione politica comune. A Milano occorreva maggiore consapevolezza sulla necessità di proseguire un’esperienza, quella di Pisapia che lo stesso protagonista invece aveva considerato chiusa. Quando c’è discontinuità, occorre non restare ingabbiati nella illusione di potere seguitare nella  continuità. La eccessiva fiducia nella continuità ci costringe ora a sostenere un candidato come Sala, degna persona, ma che non può essere il simbolo di una sinistra che vuole essere alternativa al Pd”.

 

Da jobsnews


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