Nei sondaggi e nelle classifiche, quella dei giornalisti non è una categoria molto amata né rispettata. Le ragioni sono diverse. Diciamo che il cittadino vorrebbe molto di più in termini di indipendenza, di autonomia dal potere, di credibilità. C’è qualcosa che potrebbe renderli più vicini all’opinione pubblica? Forse sì: un Giurì. Parecchi anni fa, in piena Tangentopoli, la Federazione della stampa e l’Ordine, decisero di istituirne uno, per mettere termine a un furibondo braccio di ferro fra i partiti e i giornalisti. Ma poi qualcuno decise di lasciarlo nel cassetto. Le cose andarono così.
Lo scandalo scoppia nel febbraio del 1992. I mezzi di informazione raccontano per filo e per segno le inchieste del pool di Mani Pulite e centinaia di uomini politici finiscono alla sbarra. Non ci sono ancora sentenze. Dunque, comincia a dire qualcuno, non è giusto che i partiti siano massacrati prima che i magistrati abbiano terminato il proprio lavoro. Alla Commissione Giustizia della Camera, guidata dal deputato Dc Giuseppe Gargani cominciano ad arrivare decine di disegni di legge, che hanno tutti lo stesso obbiettivo: impedire che i giornalisti possano pubblicare i particolari delle inchieste prima che si arrivi al dibattimento. Un colossale bavaglio, un antistorico e antidemocratico divieto di rendere pubblico ciò che sta avvenendo nelle stanze dei palazzi di giustizia. La classe politica, pesantemente sotto accusa, tentava di coprire le proprie malefatte bloccando la libera informazione.
La Federazione della stampa e l’Ordine misero al lavoro un gruppetto di colleghi (ricordo solo Sandra Bonsanti e Angelo Agostini) che elaborarono la “Carta dei Doveri” che venne approvata dal Consiglio nazionale della Fnsi e successivamente da quello dell’Ordine. I giornalisti sarebbero stati assoggettati a più stringenti norme etiche. Si spostava sul terreno deontologico quello che il Parlamento voleva far diventare legge dello Stato. Grazie all’intelligenza e allo spirito autenticamente democratico di alcuni politici (cito solo Pertini e Spadolini) di fronte all’assunzione di responsabilità decisa dai giornalisti, la Commissione Giustizia si fermò e quella legge-bavaglio non fu mai approvata.
All’interno della Carta dei Doveri, a cui erano assoggettati ovviamente tutti gli iscritti all’Ordine, era stato inserito un Giurì per la Correttezza dell’informazione, un organismo giudicante snello, al quale si sarebbe potuto rivolgere qualsiasi cittadino, non per punire il giornalista ma almeno per far dichiarare la sua “scorrettezza”. Questo Giurì non entrò mai in funzione, soprattutto per via delle perplessità sorte da parte di alcuni all’interno dell’Ordine nazionale, che temevano di veder mortificato il proprio potere disciplinare.
Ora, il nuovo Presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, ripropone l‘approvazione del Giurì – approfittando anche dell’imminente riforma della legge professionale – per mostrare ai cittadini che i giornalisti, da molti ostacolati e minacciati, intendono svolgere il proprio compito nella massima libertà, ma anche nel rispetto dei diritti delle persone. Un richiamo all’etica, che potrebbe aiutare la categoria a recuperare, almeno in parte, la sua credibilità.