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L’America democratica e la sfida delle minoranze

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Se in Iowa Hillary si era salvata per una manciata di voti, nel ricco e democratico New Hampshire, stato membro di quel New England progressista, culla del kennedismo, da sempre ostile ai repubblicani, Sanders ha dato il meglio di sé.
Intendiamoci: la corsa alla Casa Bianca è ancora apertissima e sbaglierebbe l’anziano senatore del Vermont se si sentisse già vincitore, illudendosi che la Clinton sia un avversario arrendevole o, peggio ancora, che si consideri già sconfitta. Tuttavia, anche nel 2008 l’ex segretario di Stato iniziò la sfida con risultati simili (anzi, addirittura migliori: all’epoca, infatti, perse in Iowa ma vinse, sia pur di misura, in New Hampshire), accorgendosi strada facendo che, pur essendo la candidata dell’establishment, la più ricca e la più popolare, ormai la sua parabola è in fase discendente, come se il marito Bill, che la segue passo passo, non bastasse, con la sua intatta popolarità, a colmarne l’antipatia e a far dimenticare il senso di estraneità ai problemi quotidiani delle persone comuni che ella trasmette.
E forse, questa almeno è la nostra sensazione, una delle ragioni delle difficoltà di Hillary a far breccia nel cuore del fronte democratico è legata proprio all’onnipresenza al suo fianco dell’ex presidente: uno la guarda, la sente parlare, analizza il suo programma e vede sempre Bill, con il suo carisma, il suo fascino, la sua capacità di dominare un’epoca e segnare una svolta epocale nella sinistra americana ma anche la sua ombra ingombrante, i suoi scandali perdonati ma mai dimenticati dall’America profonda, la sua eredità che ormai appartiene ai libri di storia e, a quanto pare, sono in pochi a voler riportare in auge.
In poche parole, agli occhi delle minoranze che otto anni fa fecero la fortuna di Obama e oggi stanno spingendo la candidatura di Sanders, Hillary sarebbe anche all’altezza ma appartiene ad un’altra stagione, ha uno stantio odore di déjà vu, troppi agganci con l’alta finanza e il mondo bancario e di Wall Street, idee troppo liberiste, una visione del mondo che fece furore ai tempi della Terza via e della sinistra che abbandonava gli operai per abbracciare gli speculatori e i finanzieri ma che dopo la crisi, di cui in gran parte quegli ambienti sono responsabili, appare improponibile,
Hillary sta ottenendo risultati negativi perché da anni si ostina a sbagliare l’analisi delle evoluzioni della società americana, perché non ha ancora capito che l’America con la quale deve confrontarsi è radicalmente diversa rispetto a quella che si lasciò sedurre da suo marito Bill, perché non si rassegna all’idea che in ventiquattro anni sia cresciuta una generazione che non chiede più flessibilità, yuppismo, elogio delle disuguaglianze, una finanza senza regole, una democrazia sottomessa alla volontà dei lupi della borsa e delle multinazionali e un arricchimento sfrenato e, se necessario, basato anche su un’economia di guerra bensì l’esatto opposto. Non sta capendo, Hillary, che i cosiddetti “Millennials”, i ragazzi nati e cresciuti a cavallo del nuovo millennio, chiedono, al contrario, sicurezza sociale, tutele sindacali, garanzie di un lavoro dignitoso, una democrazia reale e non fittizia, un libero accesso all’università e alla conoscenza, una riduzione delle disuguaglianze e una drastica spuntatura degli artigli della finanza e di gran parte dei sostenitori dell’universo clintoniano.
Poi può darsi che vinca ugualmente, che nel sud retrogrado e conservatore il solo concetto di “socialismo”, propagandato con straordinario coraggio da Sanders, faccia orrore ad un elettorato per cui quella parola rievoca tuttora il socialismo reale del nemico sovietico; può darsi che l’utopia non si realizzi, che il vento del cambiamento che spira sia in questo’avvio di primarie sia destinato ad abbassarsi, che Hillary alla fine ce la faccia lo stesso, che le minoranze che fecero la fortuna di Obama non riescano a dar vita a una nuova rivoluzione che sarebbe non meno epocale; può darsi che il kennedismo di Sanders debba attendere ancora qualche anno prima di sbarcare alla Casa Bianca, magari sulle gambe e sulle spalle di uno dei tanti giovani che oggi sta sostenendo la sua campagna; può anche darsi che si debba aspettare ancora qualche anno, ma una cosa è certa: la presenza stessa di questo galantuomo con idee e proposte che non si sentivano da oltre tre decenni, specie oltreoceano, costringerà Hillary ad essere più la progressista Rodham degli anni dell’università che la rampante Clinton degli anni della ricchezza e del potere. Dovrà governare compiutamente da sinistra: scusate se è poco!


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