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La guerra dell’acqua

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Pensare a conflitti generati dalla mancanza o dalla ricerca d’acqua potrebbe sembrare anacronistico. Si danno per assodati gli scontri che si verificarono sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, in quell’antica Mesopotamia che ai nostri occhi appare lontana anni luce. Ma, purtroppo, non è realmente così.
Pensare a conflitti generati dalla mancanza o dalla ricerca d’acqua potrebbe sembrare anacronistico. Si danno per assodati gli scontri che si verificarono sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, in quell’antica Mesopotamia che ai nostri occhi appare lontana anni luce. Ma, purtroppo, non è realmente così.  L’acqua è un problema che ci riguarda da molto vicino. Era il 2008 quando il Segretario Generale dell’Onu disse: “Troppo spesso dove c’è necessità di acqua, troviamo, invece, delle armi”.

In effetti, sebbene oggi si sia soliti mascherare le guerre con appellativi più adatti alle nostre orecchie, la risorsa idrica rappresenta un elemento fondamentale per comprendere le dinamiche della geopolitica recente e futura. Dietro i contrasti etnici, politici o religiosi si nasconde spesso il terrificante spettro della mancanza d’acqua. Uno spettro che fa paura a qualsiasi paese, islamico o cattolico che sia, e che acuisce o addirittura genera contrasti. È stato così nel recente passato, quando nella guerra dei sei giorni, il fiume Giordano divenne terreno di scontro tra Israele, Egitto, Giordania e Siria. E con il passare degli anni, la crescita demografica, l’ascesa di nuove potenze economiche, il cambiamento climatico, non hanno fatto altro che peggiorare una situazione di per sé già molto preoccupante. Le tensioni per il controllo dei bacini idrici si sono moltiplicate: il Tigri e l’Eufrate sono tornati ad essere contesi tra i paesi mediorientali, in primis dalla Turchia che, attraverso un sistema di dighe, cerca di sostenere la propria agricoltura, ignorando i devastanti effetti nei paesi a valle. Un discorso simile può essere fatto per il Nilo. Il bacino del più lungo fiume del mondo interessa ben nove Stati africani e, di questi, l’Egitto è il maggiore sfruttatore. L a situazione è tutt’altro che definita e i recenti eventi della primavera nordafricana, uniti alla comparsa del neonato Sud Sudan, si prestano a scenari quantomeno allarmanti.

Allontanandosi dal continente africano il panorama non cambia. L’acqua continua ad essere mal gestita e, di conseguenza, diventa oggetto di scontri. È il caso del bacino dell’Indo, fondamentale fonte per il settore agricolo di Pakistan ed India, conteso tra i due paesi. Gli attriti tra Brasile e Paraguay, invece,  si concentrano sull’utilizzo di risorse idriche in campo energetico nella diga di Itaipù, imponente centrale idroelettrica costruita spazzando via una trentina di villaggi indigeni.

Dall’alimentazione all’agricoltura, dall’energia all’allevamento, è evidente che la gestione dell’acqua sia diventata un aspetto di fondamentale importanza e una sfida che la comunità internazionale è costretta ad affrontare con lungimiranza. Qualche passo in tal senso è stato fatto, basti ricordare la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ha riconosciuto il diritto all’acqua come diritto umano universale e fondamentale. Ma oltre a proclami di questo tipo, che, hanno indubbiamente la loro rilevanza, sarebbe necessario attuare politiche specifiche e mirate, in grado di gestire al meglio una risorsa così importante. Per tornare a guardare nel nostro giardino, che non è poi tanto più verde di quello dei nostri vicini, l’Italia è un esempio lampante di una pessima gestione idrica: nel nostro paese circa il 50% dell’acqua potabile viene sprecata a causa del pessimo stato delle infrastrutture.

Da qui bisogna ripartire. Rendendosi conto che le parole chiave per il futuro dovranno essere “sostenibilità” e “cooperazione”. Solo in questo modo si potrà allontanare quello spettro che, ancora oggi, ha spinto Ban Ki-Moon a descrivere l’acqua come “la risorsa più critica e limitata del pianeta”.


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