In Europa tornano le frontiere interne. Con l’immigrazione, Grecia e Italia dovranno cavarsela da soli almeno per i prossimi due anni. Il succo è questo. E l’umore nero degli europei del Nord si estende anche alle questioni dell’economia: si ritorna a parlare di Grexit, (colloquio del Corriere con Ian Bremmer) giacché la ricetta imposta ad Atene non era – e tutti lo sapevano- sostenibile, sii riprende a mettere l’Italia sotto sotto osservazione: “Allarme Ue: Troppo debito. L’ira di Renzi: non sono isolato”, perché ho “con me 50 milioni di italiani”. Facciamo un passo indietro: ecco titoli e commenti sul ritorno delle frontiere. “Schengen spacca l’Europa”, Repubblica. “Congelare Schengen per due anni”, Stampa. “Schengen in bilico per due anni”, Corriere. Con Cesare Martinetti (Stampa) che scrive e spera: “ma non è la fine dell’Europa” e Franco Venturini (Corriere) che constata: “Una vera trappola (e un’ingiustizia) per noi e la Grecia”. Si è persino discusso della possibilità di sigillare il confine tra Grecia e Macedonia. In questo caso ai profughi non resterebbe che buttarsi in Adriatico verso le nostre coste, senza poi poter più passare in Austria o in Francia.
Affari e diritti, Rohani in Italia. L’Iran è la chiave per la soluzione del problema Siria (e per sconfiggere Daesh in Iraq), gli Ayatollah, anche in odio ai sauditi, stanno dando segnali di voler rendere più dialogante il loro Islam, agli imprenditori italiani fanno gola – e si capisce- commesse che, dopo la fine dell’embargo, potrebbero raggiungere la cifra astronomica di 17 miliardi. Ma in Iran il boia resta in servizio permanente effettivo -come ricorda Nessuno tocchi Caino- , in Iran la lotta politica si fa anche a colpi di discriminazioni e di soprusi sulle donne, gli omosessuali, gli intellettuali. Si può cogliere l’occasione straordinaria di questo ritorno nella “comunità internazionale” di un grande paese, senza tuttavia chiudere gli occhi, anzi rimanendo intransigenti, sul rispetto dei diritti? Si potrebbe, si dovrebbe.
In Senato oggi si parla di Ilva, domani di banca etruria, giovedì di unioni civili. La maggioranza che sostiene il governo Renzi comprende ormai di fatto 17 senatori verdiniani, la sfiducia al governo chiesta dalle opposizioni non ha alcuna possibilità di passare, sulla vicenda dei diritti delle coppie omosessuali si cercherà di alzare il massimo polverone per non mettere a rischio la convivenza, nella maggioranza di governo, tra chi va al family day e chi nelle piazze arcobaleno. Ecco che sulla
Stepchild adoption, il retroscenista di Repubblica, De Marchis, pompa due tentativi di “mediazione”. Emendamento Pagliari-Marcucci: l’adozione (del figlio del partner) sia possibile solo dopo due anni di “affido”. Emendamento Chiti: si renda obbligatoria una dichiarazione in cui si garantisce che il figlio non sia nato da utero in affitto. La retroscenista, del Corriere, Maria Teresa Meli si occupa, invece, delle elezioni romane e paventa una candidatura di Massimo Bray, che è stato ministro, con Letta, dei beni culturali e che potrebbe candidarsi a Roma, senza passare dalle primarie, ma cercando l’appoggio di Marino e di Fassina. Secondo la Meli dietro c’è il “solito” D’Alema. Abbandonato dai retroscenisti, il premier resta sulla graticola. Giannelli (Corriere) lo paragona ai campioni del calcio che insultano in campo, Piero Ignazi (Repubblica), sembra includerlo in un giudizio assai severo sulla nostra politica europea: “Il velleitarismo e il provincialismo sono due vizi storici della nostra politica estera. Se a questi aggiungiamo il pressapochismo e il disinteresse per le questioni europee…allora confermiamo la fama di europeisti a parole, ma pasticcioni e inconcludenti nella discussione dei dossier più caldi.
Obama sulle primarie, la Spagna riflette. Tra Sanders e Clinton forse il presidente in carica preferisce Hilary, che ha battuto in Iowa sette anni fa “ma lei – dice il Presidente a Glenn Thrush, intervista riprodotta dal Corriere- ha dovuto fare tutto quello che ho fatto io, ma come Ginger Rogers, stando sui tacchi. Ha dovuto svegliarsi prima di me perché doveva farsi i capelli, doveva gestire tutte le aspettative che c’erano su di lei. Ha avuto un compito più duro di me”. Nella sostanza, però, Obama mi sembra neutrale: “Non c’è dubbio che Bernie si sia ben calato in un filone della politica democratica che intende rompere con i termini del dibattito fissati da Ronald Reagan ormai trent’anni fa, e che non ha paura di sfidare i luoghi comuni e parlare senza peli di disuguaglianze e revisione delle politiche progressiste. Tutto questo fa presa sulla gente, ed è facile intuirne le ragioni. Credo che Hillary Clinton incarni il riconoscimento del fatto che tradurre valori in governance e tener fede alle promesse è, in definitiva, il vero compito della politica. Hillary è una persona idealista e progressista, con tante battaglie combattute in prima linea alle spalle, e anche tante sconfitte subìte”. Quanto alla Spagna, traduco il titolo di El Pais: “Iglesias consulterà la base e Sanchez la direzione” (sulla possibilità di formare un governo di sinistra), “Partito popolare e Ciudadanos aprono a un negoziato per vedere se un governo (di destra) è ancora possibile”.