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Ettore Scola, l’orgoglio di fare politica

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Non più tardi di pochi giorni fa, con Ettore Scola a palare dei problemi dell’associazione degli autori e della proposta di legge di riforma del cinema. O dio, non era la prima volta. Entrambi gli argomenti hanno fatto da sottofondo ai numerosissimi incontri con una delle grandi personalità della cultura, e non solo italiana. Già, perché Scola non è stato solo un regista-sceneggiatore straordinario, nonché un elegante disegnatore denso di malinconica e di graffiante ironia. Ha svolto un ruolo politico –nella versione migliore del termine- di particolare importanza. E l’ha sempre detto a voce alta, con orgoglio. Fu ministro della cultura nel governo-ombra immaginato dal partito comunista italiano. Animò insieme a Walter Veltroni la battaglia asperrima contro Fininvest sulle interruzioni pubblicitarie dei film, vera e propria piaga dell’epoca, in verità mai davvero sanata. Con Fellini, Maselli, Rosi e pressoché tutto l’universo audiovisivo italiano si fece una bellissima campagna, che comunque qualche risultato l’ottenne. Ruppe gli indugi. Fino ad essere recepita nella legge 122 del 1998 insieme al capitolo dell’obbligo per le emittenti di produrre e trasmettere quote obbligatorie di prodotti italiani ed europei. Altro cavallo di battaglia d’accordo con Jack Lang e i francesi che molto l’hanno amato. Riferimento autorevole e carismatico, ha sempre interpretato la propria attività come militanza culturale. E così le defatiganti vertenze con governi, ministri e ministeri sordi rispetto alle urgenze di un settore sbattuto nelle parti basse dell’agenda delle priorità. Appelli, manifestazioni, iniziative, dove Scola non mancava mai. Fino alla più recente mobilitazione su Cinecittà, insieme ai lavoratori in lotta per difendere i gloriosi stabilimenti dai rischi di ridimensionamento o –persino- di sfruttamento edilizio. Malgrado le incomprensioni, gli opportunismi e gli scarsi appoggi politici e sindacali. Infatti Scola, pur avendo aderito con convinzione alla storia dei comunisti italiani e alle successive evoluzioni è sempre rimasto libero e indipendente, capace di andare contro le tendenze o le mode dominanti. In fondo, la sua opera ha avuto come bussola prevalente la critica di certe “mostruosità” della cultura di massa, irretita dal consumismo o dal classismo elitario, o dal disprezzo verso gli umili e i semplici. Senza demagogie o facili corrività, tuttavia con un vero realismo espressivo. Politica e cinema si sono ben amalgamati, con un’umanità che oggi rimpiangiamo perché eccezionale, in ogni senso.

Una lezione di stile costante sta nei materiali depositati presso l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, di cui fu tra i fondatori. Da “Trevico-Torino”, a “Vorrei che volo”, al film documentario sul festival nazionale de l’Unità del 1972. Come pure vanno ricordati “Un altro mondo è possibile”, il corto contro il razzismo, opere collettive come “Lettere dalla Palestina” o “L’addio a Enrico Berlinguer”.: esempi di una passione autentica, mista ad una versione assai elevata del racconto civile. Un’estetica che costituisce un esempio da seguire, rappresentando una componente di pari dignità persino rispetto ai film di maggiore notorietà. Insomma, la faccia forse meno conosciuta di Ettore Scola è proprio quella della quotidianità laboriosa, fattiva, instancabile. Fatta di partecipazione assidua all’associazione degli autori, che desiderava potesse tornare protagonista del dibattito pubblico, incidendo sulle scelte di fondo. Serve una strategia culturale, ripeteva sempre con una voce via via affievolita dalle disillusioni e dalle sconfitte. Senza arrendersi. Anzi. Ricordiamolo con i suoi indimenticabili sorrisi che le figlie Paola e  Silvia ci hanno regalato nel tributo al magnifico padre, “Ridendo e scherzando”. Purtroppo,  diventato l’ultimo.


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