“Questa revisione porterà alla liberazione di Hashi Omar Hassan. Ma non alla verità sul caso Alpi. Questo è un caso in cui la giustizia va a braccetto col potere”. Antonio Moriconi, dopo aver seguito per anni il caso Moro come avvocato d’ufficio del brigatista Raimondo Etro, è ora il legale di Hasci, in carcere da 18 anni per il duplice omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin. Un omicidio che non ha commesso. All’avvocato Moriconi abbiamo chiesto come l’informazione abbia contribuito o meno alla ricerca della verità di un caso in cui, anche il giornalismo, si scontra o si accompagna con i poteri forti.
Come è arrivato Hashi Omar Hassan in carcere?
I genitori di Ilaria Alpi, non convinti delle indagini che si stavano facendo per accertare le modalità dell’uccisione della figlia e di Hrovatin, premevano molto sul governo affinché si facesse qualcosa di più in Somalia. L’allora vicepresidente del Consiglio Veltroni incaricò un ambasciatore delle indagini che però non trovò nulla. Solo questo Gelle, che sarebbe stato in grado di indicare uno dei partecipanti in Hashi Omar Hassan. È successo poi che hanno organizzato un tranello. Questa è la parola esatta. Aveva subito delle violenze dai militari italiani e in teoria lo portarono in Italia per questo ma con l’inganno. Intanto l’autista della macchina di Ilaria Alpi, Abdi, fino a quel momento aveva negato di aver visto chi aveva sparato. Lui e Hashi arrivano in aereo insieme: ora che può vedere che faccia ha Hashi, testimonia anche lui contro chi non c’entrava niente. In più Gelle per accreditarsi come testimone oculare si individua in un soggetto presente in un filmato realizzato nell’immediatezza dell’assassinio. Ma non era lui! La persona presente in quel video la abbiamo portata in Commissione. Non era Gelle. È stato smentito anche dal raffronto scientifico fatto dalla Commissione Ilaria Alpi. Lui non solo non c’era ma indica l’arma sbagliata, sbagliata è la posizione di Ilaria e Hrovatin nella macchina. Era chiaro a tutti che non c’era! Invece in Appello esaltano la sua testimonianza e danno l’ergastolo a Hashi. Ed è passata pure in Cassazione.
Come siete arrivati a chiedere la revisione della condanna?
Gelle, dopo essere sparito, ha rilasciato un’intervista a Chi l’ha visto in cui ha rivelato di essere stato pagato per testimoniare. È così che si ribalta tutto. È stata una sentenza pilotata. E mi assumo la responsabilità di quello che dico. Per tacitare la famiglia Alpi hanno fatto passare l’episodio come un tentativo di rapina andato male. Adesso Gelle ha paura a tornare in Italia: Abdi ha passato due anni qui, stipendiato dallo Stato italiano perché poteva servire in Appello. Una volta tornato in Somalia, non si sa il motivo, è stato ammazzato.
Ma allora chi ha ucciso Ilaria e Milan e perché?
In una zona di guerra tutte le comunicazioni sono intercettate. I Servizi segreti che operano sul posto sanno i movimenti di tutti. Ilaria, dopo aver parlato col Sultano di Bosaso aveva visto e saputo qualcosa di molto grosso e imbarazzante. Fa un errore, un’ingenuità. Chiama il suo caporedattore alla Rai e gli dice “ho una bomba in mano”. Testuale. Questa è stata la condanna a morte.
La ricostruzione dello spostamento di Ilaria da un albergo ad un altro dove c’era il giornalista Alberizzi che lei cercava, la racconta Abdi. Quest’ultimo aveva una Calibro9 che gli aveva regalato proprio Alberizzi. Cinque superconsulenti della Procura avevano determinato che il colpo era stato sparato a contatto e con una Calibro9. Allora, chi ha sparato?! Questo era il materiale probatorio quando sono entrato io nel processo. Poi è stato ribaltato tutto.
Cosa aveva visto Ilaria?
Glielo spiego grazie a un’altra inchiesta. Un procuratore distrettuale dell’antimafia in Calabria, il dott. Neri, indagando sulle navi affondate fa una perquisizione in casa di un trafficante di armi. Nella sua cassaforte trova il certificato di morte di Ilaria Alpi. Che il papà e la mamma non hanno mai avuto. Questo certificato però, sparisce un’altra volta. Neri è dovuto scappare dalla Calabria perché hanno ucciso, avvelenandolo, il collaboratore che faceva le indagini con lui. In quel periodo c’era la guerra dei Balcani tra la Croazia appoggiata dagli americani e la Serbia. Parte una nave carica di armi dal Nord Europa. Arriva nel Mediterraneo, scarica le armi sulle navi della Shifco che risalgono l’Adriatico e consegnano le armi ai croati. Lei ha saputo questo lì. E ha visto pure i movimenti delle navi della Shifco. Come diceva Marocchino all’inizio: è andata in un posto dove non doveva andare. Poi si è rimangiato tutto perché è un uomo a libro dei Servizi segreti americani, italiani. Sono spariti i diari di Ilaria, non è stata disposta la perizia medico-legale sui cadaveri, non arriva mai il certificato di morte. Che viene ritrovato nella cassaforte di questo trafficante di armi. Misteri italiani.
In che modo l’informazione ha o non ha contribuito ad arrivare alla verità di questo caso?
Dopo tanti anni mi sono fatto un’idea dei giornalisti. Ne ho conosciuti molti che fanno questo mestiere con serietà, con l’orgoglio di farlo e con grande onestà morale e intellettuale. Ma nella categoria dei giornalisti ci sono quelli stipendiati dai Servizi segreti che fanno disinformazione. La maggioranza dei giornalisti di guerra che non stanno sul posto ma sono nelle retrovie, comunicano solo quello che gli passano i Servizi. Non tutti fanno così e di persone stipendiate dai Servizi ce ne sono in tutte le categorie, nella mia, nei potentati economici, nella polizia. È un male endemico. Ma devo dire che Rai3 ha sempre messo a disposizione l’aiuto fondamentale di giornalisti capaci. Soprattutto moralmente sani che sono stati un supporto essenziale per arrivare a questa verità: Hashi non è colpevole. Rai3 si è data sempre da fare per questo anche lui la ha ringraziata. Hashi poteva anche essere uno degli esecutori, ma uno degli esecutori per un omicidio voluto dai Servizi segreti. Quando i giornalisti hanno capito che il problema non era Hashi ma il movente dell’omicidio, si sono mossi per cercare di arrivare alla verità.
Insieme all’accertamento dell’innocenza di Hashi, si arriverà alla verità sul caso Alpi-Hrovatin?
Io e Hashi siamo molto legati alla mamma di Ilaria, Luciana e a Giorgio, fin quando non è scomparso. Io sono convinto che non se ne verrà mai a capo in questo paese. Ma salviamo almeno il capro espiatorio. La sentenza di primo grado era stata durissima nei confronti delle indagini svolte e aveva sottolineato proprio che Hashi era un capro espiatorio. In Appello è diventato un feroce assassino da ergastolo. Aveva 26 anni quando è stato arrestato, adesso ne ha più di 40. Una cosa indecorosa togliere la vita a una persona innocente. Questo caso non è una pagina nera della Magistratura. Perché è nera se si sbaglia e basta. Ma lo sbaglio è stato fatto in mala fede. Questa revisione porterà alla liberazione di Hashi ma non alla verità sul caso Alpi. Anche se io, soprattutto per Luciana spero emerga qualcosa. Ma la verità è che, escluso il giudice della sentenza di primo grado, questo è un caso in cui la giustizia va a braccetto con il potere.