«Sì alla libertà di stampa, no alla censura». L’urlo che arriva dalla Polonia è insieme una protesta e una richiesta d’aiuto contro la legge che dà al ministro del Tesoro il potere di nominare direttamente i responsabili dei media pubblici e che riduce i relativi organismi di vigilanza.
Quella che era stata, prima che il presidente Andrzej Duda promulgasse la nuova norma, una risposta di categoria, con le dimissioni dei direttori dei principali canali della tv pubblica, oggi diventa una ribellione di tutta la società civile: decine di migliaia di cittadini hanno infatti invaso sabato 9 gennaio le piazze delle principali città polacche, oltre 20mila solo a Varsavia, «che non è Budapest» hanno scandito i manifestanti, alludendo alla legge liberticida sulla stampa voluta nel 2011 dal primo ministro magiaro Viktor Orbàn.
Non si può liquidare la vicenda polacca relegandola alla dinamica interna a un Paese. Ciò che sta succedendo in Polonia è una contrapposizione tra poteri, quello che la democrazia prevede nelle mani del popolo e quello che i sistemi elettorali consegnano alla rappresentanza politica. Una contrapposizione che nasce da un disequilibrio sociale in atto da diversi anni in seno all’Europa e che, in più di un Paese, ha minato il sistema di pesi e contrappesi pensato per evitare che la gestione delle comunità venga consegnata a un’oligarchia i cui interessi troppo spesso non coincidono più con quella della totalità. Come dimostra l’iter camerale della nuova legge polacca, che ha spostato la nomina dei vertici dei media pubblici da un sistema di concorsi a una nomina governativa nel giro di un giorno e mezzo nonostante le proteste di larga parte della società civile: studenti, operai, ceto medio ed élites.
Le immagini odierne delle piazze polacche piene di gente ricordano quelle antecedenti l’89, quando Solidarnosc combatteva contro il regime militare di Jaruzelski per conquistare i diritti civili. La differenza sta solo negli anni passati e nel fatto che la destra di Giustizia e Libertà è arrivata al potere attraverso libere elezioni. Il resto non cambia molto: i nazionalisti di Varsavia al governo hanno già normalizzato la giustiza e tolto ogni potere alla Corte costituzionale, occupato radio e tv pubbliche epurando i direttori considerati nemici e ora vogliono anche nazionalizzare i media a capitale non polacco, i più indipendenti, per poter controllare anche quelli.
Questo percorso di deterioramento sociale in atto nel Vecchio Continente ha un bisogno estremo di una stampa libera, l’unica che può fare il cane da guardia dei diritti civili e degli interessi delle comunità. Per questo l’Europa deve reagire alla legge purga polacca: le ipotesi circolate in queste ore di una riduzione degli aiuti e della sospensione del diritto di voto nei consigli europei non devono sciogliersi al sole dell’imbarazzo politico.
Ma soprattutto Bruxelles deve rimettere al centro della propria agenda gli interessi del semplice, comune cittadino, a partire dal tema centrale per la democrazia di una più equa distribuzione del potere.