Alla presenza del Primo Ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, e del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon, lo scorso 31 maggio si è aperta a Istanbul la seconda conferenza per la Somalia alla quale hanno partecipato 54 paesi, tra cui l’Italia rappresentata dal Ministro degli esteri Giulio Terzi. La Turchia ha sviluppato nell’ultimo anno una politica autonoma di sostegno a favore della Somalia improntata alla soluzione pratica di molti dei problemi che l’assillano spiazzando così la diplomazia occidentale. Il pragmatismo turco ha pervaso l’intera conferenza, ammettendo alla discussione tutte le forze somale in campo, incluse le regioni autonome del Somaliland e del Puntland, ad eccezione di Al Shabaab, l’organizzazione terrorista che dallo scorso febbraio ha annunciato di confluire in Al Qaeda.
Al centro di tutto: come riformare lo Stato. Si sono così incontrati allo stesso tavolo gli esponenti dei paesi donatori e sostenitori con quelli somali della società civile, della diaspora, degli uomini d’affari e delle ONG somale per discutere i dettagli della ricostruzione civile del Paese del Corno d’Africa. A Istanbul non si è più discusso di una presunta pacificazione della Somalia, ma di come rifondare lo Stato. Si è discusso di acqua, di strade, di energia, dei nuovi quadri istituzionali. Ma soprattutto di sicurezza, senza la quale ogni altra iniziativa di sostegno diventa impossibile. Con questo intento si è affrontato l’addestramento di polizia ed esercito somali e dei necessari rifornimenti, anche per porre termine alla presenza delle truppe di AMISOM a sostegno delle attuali istituzioni di transizione, la cui fine è prevista per il prossimo 20 agosto.
I quattro punti della road map. La road map fissata lo scorso 6 settembre a Mogadiscio prevedeva quattro temi fondamentali per superare le istituzioni di transizione, che dal 2004 reggono (malamente) le sorti del Paese: la sicurezza, la Costituzione, la riconciliazione e il buon governo. Il tutto affidato agli stessi somali e sotto la guida degli esponenti delle istituzioni di transizione. In quel programma, la comunità internazionale era chiamata a fornire un supporto economico allineato ai progressi del progetto. Da allora si sono svolte diverse riunioni per dare attuazione alla road map così in Somalia (Garowe 1, Garowe 2, Galcayo), come all’estero: Londra, in particolare, lo scorso 23 febbraio, ma ciò che più preoccupa è la formazione delle nuove istituzioni che, non potendo essere affidata ad elezioni, mancando ancora le condizioni per il suffragio universale, deve essere decisa a partire dai saggi di ciascun gruppo locale.
I trucchi della leadership transitoria. Si teme, infatti, che gli attuali esponenti delle istituzioni di transizione (il Primo Ministro Abdiweli Ali Mohamed, il Presidente Sheikh Sharif Ahmed e lo speaker destituito dai parlamentari Sheikh Sharif Hassan), avendo voluto candidarsi alle nuove istituzioni, nonostante il ruolo di guida che avevano assunto per la realizzazione della road map, esercitino il loro potere, anche finanziario, sugli anziani vanificando il rinnovamento delle istituzioni che dovranno reggere il paese dal prossimo 20 agosto. Questi timori hanno preso corpo quando, a metà maggio, i tre hanno convocato l’apertura della riunione dei saggi locali senza avvertire gli altri tre firmatari della road map: Ahlu Sunna Wal Jama’ah, Puntland e Galmudug.
Le violazioni denunciate. Di qui la denuncia alla comunità internazionale della violazione dei patti e l’immediata convocazione di tutti e sei i firmatari ad Addis Abeba lo scorso 21-23 maggio. Anche in occasione della conferenza di Istanbul, il Presidente Ahmed è stato accusato di aver inviato due suoi luogotenenti a discutere con il governo turco lo slittamento di un anno della fine della transizione: lui ha smentito, ma la candidatura alle nuove istituzioni appare incompatibile col ruolo di garanti della road map per il timore di ritardare le operazioni e per le possibili interferenze nell’indicazione dei nuovi candidati. Senza un profondo rinnovamento delle istituzioni, la trasparenza e l’indipendenza dei parlamentari rimane a rischio.
Le risorse umane che occorrono. Ciò di cui la Somalia ha più bisogno sono risorse umane adeguate ai compiti di una ricostruzione totale: politica, economica e morale. Non ne mancano, ma gli uomini adatti e appassionati vanno incoraggiati e sostenuti come non sempre oggi avviene. Il Prof. Hersi Mohamed Hilole, Presidente dell’organizzazione Ahlu Sunna Wal Jama’ah, tra i sei firmatari della road map, è venuto in visita a Roma prima di essere invitato al Ministero degli esteri svedese e, quindi partecipare alla conferenza di Istanbul.
Gli incontri. Durante la permanenza in Italia, ha avuto modo di incontrare Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati 1 (UNHCR), il Sen. Alfredo Mantica, ex Sottosegretario del Ministero degli esteri con delega per l’Africa, l’Ambasciatore italiano per la Somalia Andrea Mazzella, il Ministro presso la Farnesina Marco Claudio Vozzi e diversi suoi collaboratori. Ha svolto una relazione presso la Commissione Esteri della Camera ed ha partecipato a due convegni, uno presso l’Università degli Studi di Roma 3, organizzato dalla Prof. sa Anna Rita Puglielli, Presidente del Centro di studi somali, ed uno presso l’Aula degli atti parlamentari del Senato della Repubblica messa a disposizione dal Presidente Renato Schifani dietro richiesta del Sen. Vincenzo Vita.
Il meeting di Roma il 2 e 3 luglio. Molte sono ancora le sfide nel trimestre che dovrà vedere la fine della transizione, ma per la prima volta in 22 anni si affaccia la concreta possibilità che i somali approdino ad una nuova era di pacificazione, riconciliazione e ricostruzione. Il più imminente incontro internazionale è fissato proprio a Roma i prossimi 2 e 3 luglio: UNOPS, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi ai Progetti 2, in collaborazione con l’Ambasciatore italiano per la Somalia, Andrea Mazzella, ha convocato a Roma i membri del Contact Group per la Somalia 3 affinché, dopo il precedente appuntamento svoltosi in Danimarca, venga presentata la lista dei nuovi parlamentari nominati secondo la famigerata formula clanica “4.5”, cioè un numero uguale di parlamentari per ciascuno dei quattro più importanti clan del paese e metà di essi per l’insieme degli altri gruppi clanici ritenuti minoritari. Nel prossimo mese, infatti, i 125 saggi provenienti da ciascuna comunità locale nomineranno gli 825 membri dell’assemblea costituente: saranno questi a designare i 225 parlamentari che dovranno sostituire gli attuali 550 membri del parlamento di transizione.
*l’articolo è stato pubblicato da Repubblica
l’autrice è fondatrice dell’associazione Migrare