Muore a 96 anni il “signor P2”: Licio Gelli e il fascino indiscreto del potere nascosto

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Diceva Giulio Andreotti di averlo conosciuto come direttore di una filiale della Permaflex.. Sembra assurdo, oggi, eppure Licio Gelli è stato anche questo. Millonovecentocinquantasei: la guerra è finita da poco più di un decennio, la Cassa del Mezzogiorno è già una realtà: l’Italia scopre la ricchezza, e con la ricchezza anche i primi privilegi del comfort casalingo. È l’anno dell’abiura di Krushev nel XX Congresso del PCUS, dei carrarmati a Budapest, della crisi di Suez; il capo del governo è Antonio Segni, Andreotti non è ancora mai stato presidente del consiglio ma la Ciociaria è già un suo feudo elettorale: e a Frosinone un trentasettenne enigmatico e intraprendente, ex membro dei GUF ed ex volontario a fianco dei falangisti durante la guerra civile spagnola, pare occuparsi davvero soltanto di materassi.

Un quarto di secolo dopo, quando Gherardo Colombo e Giuliano Turone entrano a Villa Wanda, tra le scartoffie dell’ufficio di quello stesso Licio Gelli trovano l’organigramma di un Potere occulto “che tutto usa e che a nessuno risponde se non a se stesso”. Così sintetizzerà la commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Tina Anselmi. Nel 1981 l’Italia è un Paese ancora convinto che la massoneria, ammesso che esista davvero, sia qualcosa di coreografico e comico, frequentata da tanti fanfaroni incappucciati, da tanti borghesi piccoli piccoli desiderosi di trovare una buona raccomandazione per i loro figli disoccupati. E invece nelle liste della loggia P2 (la P sta per Propaganda), ci sono il direttore e l’editore del primo quotidiano nazionale e c’è il principe ereditario di Casa Savoia; ci sono personaggi del sottobosco mafioso e c’è chi, da eroe vero o presunto, la mafia vorrebbe sconfiggerla coi gradi di generale sulle spalle; ci sono ex missini protagonisti di due decenni di golpe tentati e falliti e ci sono politici liberali che si sono conquistati le simpatie dei progressisti italiani. “Con la P2 avevamo l’Italia in mano”, confesserà Gelli nel 2008. Megalomania? Forse. Ma esiste un’immagine che meglio di altre testimonia della pervasività di quella loggia all’interno delle istituzioni: quando Colombo e Turone decidono di consegnare le liste incriminate al presidente del consiglio Forlani (Pertini non è al Quirinale, impegnato in un viaggio in Sud America), a riceverli trovano il prefetto Mario Semprini, segretario particolare del premier. I due magistrati si guardano stupiti, non sanno bene che fare: il nome di Semprini compare negli elenchi della P2.

“Il mio personale rammarico – ha confessato Gherardo Colombo – è che le indagini sulla P2 si siano interrotte troppo presto: c’è mancato davvero poco perché, partendo da Villa Wanda, non si arrivasse al Conto Protezione, anticipando di quasi dieci anni Mani Pulite”. E a questo punto, chi si lascia affascinare dalle coincidenze, riterrà non causale che Licio Gelli sia morto il 15 dicembre, a 13 anni esatti dalla consegna del famigerato avviso di garanzia a Bettino Craxi. Se le liste della P2 sono state scoperte lo stesso giorno della proclamazione del Regno d’Italia, la scomparsa del Maestro Venerabile avviene in coincidenza con il crollo definitivo della Prima Repubblica.

Fu arrestato in Svizzera, mentre cercava di darsi alla fuga. Ma poi a scappare ci riuscì davvero, due anni dopo, evadendo dal carcere di Camp Dollon (Ginevra) dove era rinchiuso, e trovando un nascondiglio in Sud America, da cui tornò nel 1987 per costituirsi. Implicato praticamente in tutti gli scandali e i misteri italiani, dal “suicidio” di Calvi sotto al Ponte dei Frati Neri al caffè in carcere di Sindona, considerato uno dei registi della strategia della tensione, coinvolto nei depistaggi della strage della stazione di Bologna, Licio Gelli è stato sicuramente l’incarnazione delle contraddizioni, spesso indicibili, in cui è vissuta la Repubblica Italiana durante tutta la sua esistenza. Ma a parte che per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano e per un procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato, le uniche condanne definitive Gelli le ha ricevute per il reato di calunnia. Paradossi nostrani, si dirà. Ma del resto anche Al Capone, dai giudici americani, fu ritenuto colpevole solo per evasione fiscale, no?

Quanto alle informazioni inconfessabili contenute nel suo archivio, fisico o mentale, vale ciò che lui stesso disse di Andreotti nel giorno della morte del Divo: “Un vero uomo porta i segreti nella tomba”.


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