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La legge dei fallimenti pilotati al tribunale di Latina: un’associazione di cittadini ha deciso di dire basta

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I fallimenti delle aziende sono determinati da fattori economici, finanziari e imprenditoriali che, in una economia capitalistica “normale”, dipenderebbero dalle cosiddette regole del mercato. In questo caso, invece, tali regole non hanno avuto ragion d’esistere perché i fallimenti venivano pilotati da una cricca affaristica con a capo un giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Latina, Antonio Lollo, che si avvaleva del suo potere per stabilire chi poteva essere “condannato” al fallimento e chi no. Lo avrebbe ormai accertato un’inchiesta della locale Procura della Repubblica che ha trasmesso gli atti per competenza a Perugia. Dalle cronache risulta che alcuni di questi fallimenti sarebbero stati decretati a causa di momentanei problemi di liquidità delle aziende interessate, pur in presenza di una loro ampia solvibilità dal punto di vista patrimoniale. Il meccanismo di funzionamento della cricca era semplicemente diabolico: prevedeva che il giudice (dimessosi dalla carica dopo essere stato arrestato dalla Squadra Mobile di Latina che ha condotto le indagini) individuasse tra gli atti giudiziari della sua sezione quelle aziende che potevano essere “spolpate” prima che avessero accesso al patrimonio i creditori riconosciuti dalle sentenze. Avendo il potere di decretare lo stato di insolvenza, il togato nominava come curatori fallimentari suoi amici commercialisti e avvocati, ai quali riconosceva laute parcelle di liquidazione, sempre in danno delle aziende dichiarate fallite. Il “malloppo” così costituito veniva poi spartito dal capo della cricca (lo stesso ex giudice) in base a regole accettate dall’intero gruppo. Ad essere truffati in pratica erano dunque tutti: imprenditori, lavoratori, creditori ed erario.

Allo stato delle indagini, infatti, risulta che la continuità dell’attività aziendale, la sua redditività produttiva (spesso presente pur tra mille difficoltà), il futuro dei dipendenti e dell’imprenditore interessato, siano state subordinate a questo tipo di interessi. Ma la sensazione generale, visto che l’inchiesta di Latina sembra aver mostrato solo la punta di un immenso iceberg, è che la vicenda nasconda molti e più importanti interessi sui quali sarebbe utile un impegno della politica nazionale ai massimi livelli e un dibattito pubblico più approfondito.

Tra coloro che a Latina vogliono chiarezza e giustizia sull’intera vicenda si annovera, in primis, l’associazione onlus Giusta-Mente, formata da imprenditori e singoli cittadini di Latina che hanno vissuto in prima persona il meccanismo della cricca appena descritto. Sembra, infatti, che queste procedure fallimentari siano state avviate spesso a seguito di accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e dei relativi procedimenti di riscossione da parte di Equitalia (quella dove fino all’anno scorso era Vicepresidente Esecutivo Antonio Mastrapasqua, per intenderci). Ciò avveniva nello stesso tempo in cui le banche chiudevano improvvisamente le linee di credito decennali con questi clienti, mentre faccendieri-avvocati, molto noti a Latina, si proponevano per operazioni di svendita non solo del patrimonio sociale, ma persino dell’intera storia imprenditoriale della malcapitata azienda. Dal meccanismo però sembra sino rimaste escluse alcune società sulle quali sono già emerse gravi irregolarità amministrative e patrimoniali: uno per tutti è il caso della Aviointeriors di Tor Tre Ponti – Latina, di proprietà dell’imprenditore napoletano Alberto Veneruso. I lavoratori in quel caso hanno dovuto persino organizzare un sit-in davanti alla sede della Guardia di Finanza di Latina per poter esporre le incredibili anomalie che si erano ritrovati in busta paga. Le altre aziende invece sono finite nel tritacarne e con loro anche centinaia di lavoratori e lavoratrici insieme alle loro famiglie. Che si trattasse di una catena di supermercati, di un complesso immobiliare mai ultimato, di un caseificio, di un pastificio, di un’industria tessile, di un’attività commerciale o di un’azienda agricola, non importa. Ogni azienda era un’occasione di arricchimento per la cricca. Non si contano i casi in cui queste attività sono state spinte dall’intero sistema in una crisi irreversibile, anche se avevano margini per potersi risollevare. Presso la sezione fallimentare di Latina i fascicoli di fallimento sono più che raddoppiati negli ultimi anni e solo in parte ciò sembrerebbe dovuto alla crisi.

Gli aderenti all’Associazione Giusta-Mente vogliono ora capire perché in tutti questi casi si è arrivati alla dichiarazione fallimentare e come è stata gestita l’intera procedura. Già sono emerse precise indicazioni, anche rispetto ad anomale carriere politiche che sempre più spesso salgono alla ribalta della cronaca nel capoluogo pontino. Sono indicazioni che per motivi di opportunità al momento non possono essere divulgate. Ai cronisti comunque spetta di segnalare il caso di un’alta funzionaria dell’Agenzia delle Entrate, moglie di uno dei commercialisti arrestati insieme al giudice Lollo. Il soggetto è stato Assessore alle attività produttive al Comune di Formia e risultata esser stato multato dalla Banca d’Italia per gravi inadempienze amministrative della società di cui era Consigliere di Amministrazione: la società finanziaria Finworld ,che la stessa Banca d’Italia ha cercato di espellere per la seconda volta in pochi anni dall’albo degli intermediatori finanziari: il provvedimento è stato sospeso a luglio di quest’anno dal TAR del Lazio. Proprio nei giorni scorsi la signora in questione è stata nominata invece componente del Consiglio di Amministrazione di Acqualatina per volere del Senatore di Forza Italia, Claudio Fazzone. I membri dell’associazione ora intendono portare il tutto all’attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia, che pare essere assai sensibile a quanto accade in provincia di Latina e alle losche trame di potere e di denaro che da decenni la governano.

Dalle intercettazioni risulta che l’ex giudice Antonio Lollo, diceva di non si sentirsi “sporco” quando commetteva i reati di cui si è già dichiarato colpevole. Forse perché riteneva e ritiene di non essere il solo nel suo ambiente ad agire contro i suoi doveri d’ufficio. Infatti, quasi due anni fa, una vicenda identica aveva portato in carcere la giudice del Tribunale di Roma “più mafiosa dei mafiosi” (testuali parole sue) Chiara Schettini. Probabilmente per questo, in seguito all’inchiesta, il Presidente del Tribunale di Latina ha deciso di affidare tutti i procedimenti fallimentari in corso ai consulenti iscritti negli albi professionali provinciali di Napoli. Una decisone che la scorsa settimana, con un ritardo di alcuni mesi rispetto allo scoppio dello scandalo, ha portato l’Ordine degli avvocati di Latina a chiedere una nuova ispezione presso il Tribunale di Latina da parte del Ministero di Grazia e Giustizia: Ministero che nel mese di aprile di quest’anno aveva già commissariato l’intera sezione fallimentare dello stesso Tribunale. Un provvedimento che aveva suscitato sgomento nell’opinione pubblica non tanto per il fatto che fosse stato adottato: in realtà era atteso da decenni, non solo dalle vittime di questo sistema, ma anche da tutti i professionisti onesti. Lo sgomento era determinato dal fatto che da molto tempo a Latina questa ingiustizia si è trasformata in un sistema: ancora oggi tanta gente ne paga le conseguenze. Ed è esattamente contro questo sistema che da ieri sono scesi in campo i volontari di Giusta-Mente.


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