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Perché il Comune di Milano vuole chiudere il campo Rom di via Idro?

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Un altro grave abuso contro i diritti della minoranza Rom si sta consumando nella Milano-tritacarne dei nostri giorni. Ricordo il campo Rom di via Idro per tanti motivi. E’ un luogo di tradizioni e cultura. E’ un luogo di vita e speranza, dove tante famiglie hanno allevato i loro bambini, più forti della discriminazione che circonda il campo. Il 4 agosto 2012 il campo ha accolto la proiezione del film-testimonianza da me diretto “La canzone di Rebecca”, con la giovane grande artista Rom Rebecca Covaciu nella parte di se stessa. Ha voluto l’evento il compianto Fabrizio Casavola, che dopo aver proiettato il film, davanti a tanti Rom, qualche giornalista e il testimone della Shoah Thomas Gazit, ha ricevuto la visita di uomini in divisa, i quali hanno fatto mille domande su di me, su EveryOne Group, sulla giovane pittrice. Quindi hanno deciso di sospendere, dietro una serie di pretesti, il festival in cui la proiezione rientrava, dal titolo “Hai mai provato in via Idro?”. Fabrizio non c’è più e i nemici di una civiltà a colori vogliono chiudere il campo e se questo evento si verifica, sarà un dramma per i bambini, le donne e gli uomini che lo popolano. Ernesto Rossi spiega perché si tratterebbe non solo di una violazione dei diritti umani, ma di un atto inumano di rifiuto verso una minoranza innocente e ben inserita nella zona. Domenica 13 dicembre il campo ospiterà l’evento “Marina Social Rom”: circo, cucina, musica, spettacolo e civiltà.
Strappano le radici a una comunità ben integrata
di Ernesto Rossi
Non, mancate, come si dice. Anche se la coloratissima locandina prosegue proclamando che “E’ l’ultima occasione di visitare il campo Rom di via Idro a Milano”. Anche questo si dice, pur di richiamare l’attenzione e (mi raccomando!) la presenza. O forse si tratta di scaramanzia: dirlo per allontanare la possibilità che succeda. Invece, per quanto ci risulta, il campo comunale di via Idro, uno dei più antichi di Milano; il più bello, con le sue casette immerse nel verde; il più attrezzato, con il suo centro sociale, ormai in rovina per eccesso di manutenzione; quello con più speranze, avendo una volta una cooperativa interna che gestiva serre di piantine e fiori per il Comune di Milano; l’unico difeso dal suo Consiglio di Zona; ma, soprattutto e comunque il più ‘integrato’: non solo scuola, lavori, amicizie, ma parte della festa di via Padova, con mostre, installazioni d’arte, spettacoli, proiezioni, musica… be’, il Comune di Milano lo chiude. Ci sarà un motivo, direte voi. Noi non lo abbiamo scoperto. Ad ogni buon conto, si ricorre al TAR. Un risultato c’è: le persone che lì sono cresciute, donne uomini bambini, insieme alle loro case, andando nelle scuole del quartiere, stringendo amicizie, trovando qualche lavoro, finiranno in un CES (l’acronimo è municipale): in container con altre famiglie, separate da tende, con qualche doccia, qualche cucina più o meno funzionante, sradicati da tutto, in condizioni emergenziali e provvisorie. Non c’è altro da aggiungere.

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